La ExxonMobil pubblicizza i suoi sforzi volti a “ridurre le emissioni di carbonio con soluzioni energetiche innovative”. La Chevron vuole farvi sapere che in questi tempi oscuri tiene una luce accesa. La BP punta a #NetZero (zero emissioni nette), ma allo stesso tempo è orgogliosa delle “innovazioni digitali” sulla sua nuova enorme piattaforma petrolifera nel Golfo del Messico. Intanto, la Shell sottolinea il suo sostegno concreto a favore delle donne in mestieri tradizionalmente dominati dall’uomo. Una scorsa superficiale ai social media potrebbe dare l’impressione che l’industria dei combustibili fossili si consideri ormai militante per la giustizia sociale, in lotta per aiutare poveri, marginalizzati e donne – almeno secondo il marketing degli ultimi anni.
Osservatorio clima / Visto dall’estero
La cattiva economia dei difensori dei combustibili fossili
di Paul Krugman*
Queste campagne ricadono in quelli che alcuni sociologi ed economisti definiscono “strategia del rinvio” (“discours of delay”). Le compagnie petrolifere e di gas naturale hanno un lungo trascorso di negazionismo nei confronti del cambiamento climatico, perfino dopo che i loro stessi scienziati le hanno più volte allertate sui danni provocati dalla combustione dei fossili. Ora però la comunicazione del settore è molto più sofisticata e spesso efficace del puro e semplice negazionismo climatico.
L’industria sta mettendo in atto nuovi strumenti per ritardare gli sforzi volti a contenere le emissioni minimizzando l’urgenza della crisi climatica. E il peggio è che gli stessi critici del settore non riescono a stare completamente al passo con questo nuovo approccio. “Se ci concentriamo sul negazionismo climatico, tutte queste altre strategie passano inosservate” spiega Robert Brulle, sociologo ambientale e visiting professor alla Brown University.
Nel 2019 Brulle ha pubblicato uno studio peer-reviewed in cui ha analizzato le spese pubblicitarie delle maggiori compagnie petrolifere nell’arco di 30 anni: la fetta maggiore non era dedicata al negazionismo, né ai prodotti industriali, ma alla propaganda a favore dei combustibili fossili – campagne che martellano la gente raccontando tutte le bellissime azioni compiute da queste multinazionali, quanto dipendiamo dai combustibili fossili, e quanto questo tipo di industria sia integrata alla società. “Probabilmente spendono cinque o dieci volte tanto per tutta questa pubblicità promozionale” prosegue. “Mentre il movimento climatico si batte solo contro il negazionismo.”
Osservatorio clima / Visto dall’estero
Le multinazionali americane preferiscono il disastro climatico
di Paul Krugman*
Le compagnie petrolifere hanno smesso di favoreggiare il negazionismo dichiarato da oltre un decennio. Di tanto in tanto riemergono teorie cospiraziponiste secondo le quali il cambiamento climatico è una montatura, ma non sono più una strategia efficace. Le compagnie petrolifere, i servizi e le varie associazioni di categoria, politici e think tank che portano l’acqua al loro mulino, ora fanno leva su messaggi che ammettono il problema, ma ne minimizzano la gravità e il bisogno urgente di soluzioni. Piuttosto esagerano i loro progressi per contrastare il cambiamento climatico.
In un articolo pubblicato nella rivista Global Sustainability lo scorso luglio, l’economista William Lamb e una decina circa di coautori hanno catalogato i messaggi più diffusi da parte di chi preferirebbe vedere un’inattività il più possibile prolungata sul tema del clima. Secondo il gruppo di Lamb i “strategia del rinvio” dell’industria ricadono in quattro categorie: reindirizzare le responsabilità (le emissioni dei combustibili dipendono anche dai consumatori), caldeggiare soluzioni non trasformative (non c’è bisogno di un cambiamento dirompente), enfatizzare gli inconvenienti di un’azione concreta (un cambiamento creerà disturbi), e arrendersi (non è possibile mitigare il cambiamento climatico).
“Sembrerà buffo, ma questo articolo è nato su Twitter” dichiara Lamb. Assieme ai collaboratori Giulio Mattoli e Julia Steinberger, Lamb ha cominciato a prendere nota dei messaggi promossi sui social media da parte dell’industria. Hanno poi chiesto ad altri ricercatori di campi diversi di contribuire con le loro osservazioni, e subito sono emersi degli schemi. Il negazionismo è stato volontariamente lasciato da parte: “Volevamo esaminare il ritardo come fenomeno a sé” spiega. “Ci sembra che non abbia ricevuto il tipo di attenzione che merita.”
Cos’è il wokewashing
Tra tutti i messaggi elaborati per ritardare le azioni climatiche o assicurare che le aziende hanno a portata di mano soluzioni potenziali, un tema prevale sugli altri: “l’argomentazione della giustizia sociale”. Di solito questa strategia può assumere due forme: allertare sul fatto che l’abbandono dei combustibili fossili avrà un impatto negativo per le comunità povere e marginalizzate, o affermare che le compagnie petrolifere e di gas sono dalla parte di queste comunità. I ricercatori definiscono questa pratica wokewashing.
Un esempio perfetto è la mail inviata l’anno scorso ai giornalisti da parte della CRC Advisors, PR della Chevron. Sollecitava i giornalisti a notare come i gruppi ambientalisti si dichiaravano solidari con il movimento Black Lives Matter ma “appoggiano politiche che nuocerebbero alle minoranze”. La Chevron ha poi negato di essere implicata nella mail, nonostante assuma regolarmente la CRC e alla fine della mail si leggesse: “Se preferisci non ricevere ulteriori comunicazioni da Chevron, clicca qui”.
Un’altra argomentazione diffusa è che l’abbandono dei combustibili fossili avrà conseguenze inevitabilmente negative per le comunità impoverite. La tesi si basa sull’assunto che a queste comunità l’energia dei combustibili fossili stia più a cuore dei pericoli relativi (inquinamento atmosferico e idrico, oltre al cambiamento climatico), e che non esista un modo per fornire a queste comunità o nazioni povere un’energia rinnovabile a prezzi accessibili.
Anche la Chevron l’anno scorso ha dichiarato la propria solidarietà nei confronti del Black Lives Matter, pur essendo responsabile dell’inquinamento di Richmond (California), la città a maggioranza di colore dove ha la sua sede, e dove tra l’altro sovvenziona una forza di polizia superiore alla media. Nel frattempo l’American Petroleum Institute, la più grande lobby e associazione di categoria di Big Oil, promuove la diversità nei programmi di ambito scientifico, tecnologico e ingegneristico, ma rifiuta di riconoscere l’impatto sproporzionato sulle comunità di colore.
I ”strategia del rinvio” non si limitano alle campagne pubblicitarie e di marketing, ma fanno capolino anche nel dialogo politico. “Abbiamo seguito migliaia di deposizioni a livello statale su progetti di leggi per il clima e l’energia pulita, e tutte le argomentazioni contrarie dell’industria contenevano questo tipo di messaggi” afferma J. Timmons Roberts, professore di sociologia e ambiente alla Brown University e coautore dell’articolo sui “strategia del rinvio”.
In uno studio pubblicato di recente sulle tattiche di ritardo nel Massachusetts, Roberts e colleghi hanno catalogato la strategia del rinvio impiegata da gruppi di interesse e società di servizi pubblici per cercare di bloccare la legislazione sull’energia pulita. Un altro studio recente ha individuato campagne analoghe contro leggi per il clima e l’energia pulita nel Connecticut: “Secondo le nostre osservazioni, l’argomentazione più sfruttata è quella della giustizia sociale.”
Lamb vede lo stesso meccanismo in atto in Europa. “Spesso questi temi vengono impugnati da politici di destra, non senza ipocrisia: perché non si mostrano altrettanto interessati alla dimensione sociale di problemi paralleli come l’educazione o le politiche finanziarie?”
Se al momento l’argomento preferito è quello della giustizia sociale, a detta di Lamb anche gli altri entrano regolarmente in gioco, dal deviare l’attenzione su ciò che dovrebbe fare il singolo consumatore per ridurre la propria impronta di carbonio, al promuovere l’idea che la tecnologia ci salverà e che i combustibili fossili sono una parte indispensabile della soluzione. “Questi mezzi sono efficaci, funzionano” spiega Roberts. “Perciò serve una sorta di immunizzazione: la gente ha bisogno di una guida sul campo per questi argomenti, per non farsi ingannare.”
Traduzione di Antonio Casto
Questo contributo è stato pubblicato su The Guardian come parte del CCNow (Covering Climate Now), una collaborazione globale per la copertura di notizie relative alla crisi climatica alla quale Green&Blue ha aderito.
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