Professione cicloattivista. Ilaria Fiorillo, 32 anni, pedala, da sempre o quasi, perché vorrebbe generare un cambiamento. Mentre lo fa, racconta e si racconta. E la seguono in tanti, sui social (oltre 33 mila follower su Instagram al profilo @milano_in_bicicletta) o attraverso la newsletter settimanale “Cose di bici”. “La bicicletta è il prolungamento delle mie gambe”, dice. Ma il medium, mai come in questo caso, è il messaggio. “Incentivare l’utilizzo della bicicletta e favorire il trasporto pubblico sono azioni fondamentale per rendere le nostre città più ospitali e inclusive e migliorare la qualità della vita delle persone”, sottolinea Ilaria. “Pedalando ci avviciniamo a 11 dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile contenuti nell’Agenda 2030 dell’ONU, forse anche qualcuno in più”, sorride. Al suo grande amore, e a quel che può rappresentare nel contrasto al cambiamento climatico, Ilaria Fiorillo – pugliese di nascita ma milanese d’adozione – ha dedicato il libro “Di biciclette e altre felicità. Le storie e i consigli di una ciclista appassionata sulla vita più sana, sostenibile e libera di tutte” (De Agostini, pagine 92, euro 16,90), appassionato inno a un mezzo di trasporto che può essere una delle soluzioni ai problemi della contemporaneità.
“Il momento storico che viviamo ci mette davanti all’insostenibilità degli stili di vita che abbiamo assunto fino ad ora. Le città sono ostaggio delle automobili: occupano gran parte dello spazio pubblico che dovrebbe essere invece destinato alle persone. L’aria che respiriamo è inquinata, e il settore dei trasporti è responsabile di circa un quarto delle emissioni totali di CO? in Europa. Il 71,7% delle quali viene prodotto dal trasporto stradale, secondo l’Agenzia Europea dell’Ambiente. Per non parlare del fatto che la maggior parte delle persone vive una vita sedentaria: secondo le ricerche dell’OMS il 31% della popolazione adulta del pianeta, circa 1,8 miliardi di persone, non raggiunge i livelli minimi di attività fisica raccomandati. Ecco, la bicicletta può essere nostra alleata: può aiutarci a star bene, in tutti i sensi. E’ uno strumento utilissimo per il raggiungimento del nostro benessere fisico e anche mentale e trasforma lo spazio pubblico: una città bike friendly è per definizione più inclusiva ed accessibile”.
Verso la diffusione del “bike to work”
Di qui, dunque, la sensibilizzazione costante che Ilaria attiva attraverso i suoi canali, accompagnandola con consigli per cicloamatori e cicloappassionati. Sono tanti (“e alcuni hanno iniziato grazie a me, cosa che mi riempie di gioia”) ed è qui che si gioca la partita più importante. “Sono ottimista per il futuro. – ammette Ilaria – Mio fratello, nato nel 2000, e molti dei suoi coetanei non hanno la patente e non desiderano un’automobile. Utilizzano il trasporto pubblico, i mezzi in sharing e le macchine a noleggio quando necessario, sono attenti e sensibili ai temi della sostenibilità ambientale, economica e sociale, temi estranei alle generazioni precedenti. Non me la sento di generalizzare, ma sì, sono ottimista: il cambio di paradigma non mi sembra lontano”.
Nel libro racconta anche del “bike to work”: raggiungere il posto di lavoro in bici è una pratica in crescita, ma fatalmente relegata (ancora) a una nicchia ristretta. Perché? “Perché andrebbe incentivato, e per prima cosa occorre che le persone si sentano al sicuro andando in bicicletta al lavoro. Le aziende dovrebbero garantire a tutti i dipendenti la possibilità di parcheggiare la bicicletta al sicuro ed avere uno spogliatoio a disposizione. Ed è importantissimo investire sull’intermodalità, per esempio sulla formula bici + treno, per chi compie tragitti più lunghi, da pendolare, per raggiungere il posto di lavoro. Quel che è certo – aggiunge – è che il bike to work esiste da quando esiste la bicicletta. Di più: in alcuni momenti della storia, anche italiana, la bicicletta era l’unico mezzo utile per andare a lavoro”.
Poi, però, qualcosa è accaduto. “Siamo diventati schiavi delle auto, le strade delle nostre città sono state disegnate e costruite pensando solo ed esclusivamente ai veicoli a motore e, la propaganda e le pubblicità del settore dell’automotive ci hanno convinto che la macchina sia il mezzo di trasporto più comodo, veloce ed efficiente per muoverci in città. Spoiler: non è così. Il mezzo di trasporto più efficiente in città è sicuramente la bicicletta: ci permette di arrivare ovunque, di non rimanere imbottigliati nel traffico (e, a nostra volta, di non creare traffico). Si parcheggia con facilità (e gratis) e non abbiamo bisogno di carburante, se non quello delle nostre gambe”.
Nel 2034 città italiane a misura di bici
Si rivelano ancora metaforici percorsi ad ostacoli, però, le politiche virtuose delle città che provano a invertire il trend. Già, ma perché? “Convincere le persone a cambiare abitudini è una sfida difficilissima e in una prima fase ci sarà sempre chi rema contro al cambiamento. Per fortuna i dati parlano chiaro: nei primi sei mesi di “Bologna città 30” i risultati ottenuti sono ottimi e confermano le aspettative. Limitare la velocità vuol dire, in molti casi, salvare delle vite: sarebbe sufficiente per continuare in questa direzione. Io voglio vivere in una città in cui attraversando la strada o andando in bicicletta non rischio di essere investita, in cui anziani e bambini si possono spostare in sicurezza e serenità, in cui andare da casa a lavoro non sia una lotta alla sopravvivenza. Ecco, limitando la velocità e diminuendo il numero di macchine in circolazione – conclude Ilaria – le strade (e quindi le città tutte) torneranno ad essere luogo di incontro e non di scontro”.
Il cicloturismo
Fiorillo affronta anche il tema del cicloturismo – nel 2023 ha generato 56,8 milioni di presenze, rispondendo in modo sostenibile ai problemi dell’overtourism – senza essere una fanatica della bici classica (“la bicicletta a pedalata assistita rende l’utilizzo della bicicletta più accessibile e inclusivo e può fare davvero la differenza nel percorso di transizione ad una mobilità più sostenibile”). Sulle auto elettriche, invece, dice che “aiutano a risolvere, seppur in parte, il problema delle emissioni, ma non risolvono quello dello spazio. A Milano ci sono 510 auto ogni mille abitanti, se anche fossero tutte elettriche, sarebbero comunque troppe”.
Il mvimento dei cicloattivisti
Quel che è certo è che il partito dei cicloattivisti è in crescita: i raduni della community di Ilaria, a Milano, sono spesso affollati. Ci sono anche corsi di ciclomeccanica (per imparare a prendersi cura della propria bici) e itinerari di gruppi. “In Italia siamo ancora indietro, certo. Pedalare a Roma, l’ho fatto per tre anni, è stato difficilissimo. Napoli non mi sembra affatto bike friendly, Torino sta lavorando bene, ma c’è ancora molto da fare”. L’obiettivo è quella Milano distopica che Fiorillo immagina, per il 2034, nel suo libro, una città (felicemente) a misura di bicicletta. Solo una provocazione? “Non direi, è la direzione che stanno prendendo le più grandi città europee, Parigi in primis, ed è l’unica strada percorribile. – risponde Ilaria – Ci vogliono coraggio e visione, le persone all’inizio si lamenteranno per una corsia veicolare sacrificata per una bike lane, i commercianti lotteranno contro la pedonalizzazione. Si ricrederanno tutti quando si accorgeranno di vivere in una migliore, una città delle persone”.