Nel cuore della foresta amazzonica vivono ancora popoli mai contattati in precedenza: una nuova tribù è stata scoperta tra agosto e ottobre dello scorso anno. Vive nello stato di Amazonas, nei pressi del fiume Perus, un affluente del Rio delle Amazzoni, a un migliaio di chilometri a sud di Manaus. La zona è sottoposta a un intenso sfruttamento: ci sono cercatori di oro e cassiterite (un biossido di stagno), pescatori di pirarucu, il pesce di acqua dolce più grande del mondo e alimento molto ricercato dai locali, tagliatori di legname, raccoglitori di noci brasiliane. Il risultato è che questo gruppo appena scoperto è già a rischio di estinzione perché il suo territorio viene depredato e perché i coloni possono trasmettere malattie. E in un’epoca pandemica, in cui solo il 30% dei brasiliani ha ricevuto solo una dose di vaccino c’è anche la minaccia del Covid.
Altri incontattati, così vengono definiti, sono stati massacrati negli ultimi anni. “In generale la statistica ha dimostrato più di una volta che il contatto forzato con missionari o altre persone porta alla perdita del 50% delle vite nelle tribù nei successivi due anni, quando non il totale. Le loro difese immunitarie sono abituate ad altri patogeni, mentre un raffreddore, banale per noi, può essere letale per loro”, dice Francesca Casella direttrice Survival Italia.
Il 15 febbraio, nel corso di una audizione alla Camera dei deputati, Survival International ha chiesto all’Italia di fare pressione sul governo brasiliano e di ratificare la convenzione Ilo 169 del 1989, che riconosce diritti fondamentali, come quelli sulle terre ancestrali e di decidere autonomamente del proprio futuro.
Gli indigeni probabilmente sono solo una trentina, ma sono un simbolo. In Brasile ci sono 114 popolazioni come la loro e solo 28 sono state effettivamente mappate e se ne conosce il territorio. L’immaginario che ci fa credere si tratti di persone che vivono in modo primitivo solo perché non conoscono il nostro modo di vivere è del tutto sbagliato. “Si pensa che manchino di conoscenze, ma non è vero. Hanno invece una profonda conoscenza del loro territorio e possiedono la tecnologia necessaria per ottenere tutto quello di cui hanno bisogno. Non vivono in una bolla, sono in perfetta sintonia con la foresta e sanno tutto sul cambiamento climatico perché hanno visto i mutamenti e si sono adattati. Conoscono anche benissimo chi vive nei dintorni. Se volessero entrare in contatto con altri gruppi lo potrebbero fare. Ma la loro è una scelta diversa“, spiega Leonardo Lenin di Opi, Observatório dos Direitos Humanos dos Povos Indígenas Isolados e de Recente Contato.
“Se nonostante la colonizzazione delle Americhe, il genocidio provocato dagli europei, gli incendi e la deforestazione degli ultimi decenni sopravvivono ancora, questo significa che sono capaci di adottare un’elevata forma di resistenza, che dipende dalla loro conoscenza totale della foresta e del loro ambiente”, sottolinea Lenin. Hanno solo fatto una scelta diversa, forse a questo punto obbligata, l’unica che gli ha consentito di sopravvivere alle invasioni e forse li ha costretti a rinchiudersi.
“Continuano a rifiutare il contatto perché è la più grave minaccia alla loro esistenza. Mettono segnali sul territorio, frecce incrociate, nel caso simulano attacchi, proprio per segnalare il loro desiderio di tenere lontani gli intrusi. Le esperienze di violenza hanno lasciato una memoria collettiva che li ha portati ad avere l’istinto di proteggersi. Escono solo quando sono ridotti allo stremo, per poi tornare a nascondersi appena gli è possibile. Raccontano che nella nostra società non c’è nulla di buono, mentre nella foresta la vita è più piena e appagante”, dice Casella.
Solo a gennaio abbiamo perso un pezzo di Amazzonia grande 7 volte Manhattan
Alla minaccia di minatori e altri coloni e delle malattie si aggiunge anche quella del presidente Bolsonaro. Il nuovo ritrovamento della tribù è stato effettuato da una squadra del Fepe (Frente de Proteção Etnoambiental), che fa parte del Funai, Fundação Nacional do Índio, un’organizzazione ufficiale del governo brasiliano responsabile della protezione dei popoli indigeni e delle loro terre. Non li hanno incontrati ma hanno ritrovato cesti, archi, recipienti per cucinare, segni di accampamento, prove evidenti della presenza di esseri umani. Sono raccoglitori, pescatori e cacciatori, probabilmente di lingua arawà. Alcuni ricercatori sono arrivati a poca distanza provocando una immediata sospensione delle attività. Non sono andati oltre per rispettarli e hanno subito richiesto l’immediata interdizione dell’area.
Il Fepe ha poi inviato un rapporto alla sede centrale del Funai a Brasilia, che però è stato tenuto segreto. Chiedevano un intervento urgente, ma nessuno voleva riconoscere questa emergenza. In particolare veniva chiesta l’applicazione dell’Ordinanza di Protezione territoriale a tutela della regione in cui vive la tribù, un sistema legale in vigore da diversi decenni e che permette di sospendere le attività economiche che possono mettere a repentaglio chi vive nel folto della foresta. La sede centrale del Funai non ha risposto alla richiesta e ha ignorato due successive sollecitazioni urgenti per l’adozione di misure di protezione. “È il presidente del Funai a dover decidere le misure. Quello attuale però ha lo stesso atteggiamento genocida di Bolsonaro, che ha promesso fin dalla sua elezione che non avrebbe concesso nessuna protezione ai territori indigeni“, dice Lenin. Riccardo Lopes Dias è infatti legato a New Tribes Mission, un’organizzazione missionaria che ha lo scopo di evangelizzare a qualsiasi costo anche i più isolati.
La Corte suprema obbliga il Funai a creare cordoni sanitari a causa della pandemia, ma questo non sta avvenendo e ogni tentativo di protezione sta fallendo. “La sopravvivenza di queste persone è invece nell’interesse di tutti noi, perché sono i migliori custodi dei loro territori e ci aiutano a proteggere il Pianeta“, puntualizza Casella.