Otto simboli per rappresentare le oltre 240 specie animali e vegetali italiane che sono a rischio elevato di scomparire per sempre. In occasione della giornata mondiale della fauna selvatica, Legambiente pubblica un rapporto con le sue proposte per tutelare le specie selvatiche a rischio e sceglie sette animali e una pianta per fare il punto sulla biodiversità dell’Italia “rendendo omaggio con un focus ad hoc – dice l’associazione ambientalista – ad alcune specie presenti nel Parco nazionale del Gran Paradiso e nel Parco d’Abruzzo, Lazio e Molise, le due aree protette più antiche della Penisola e che festeggiano cento anni di storia”.
Tre delle otto specie scelte sono comuni ad entrambi i parchi (l’aquila reale, il lupo e l’orchidea scarpetta di Venere), orso bruno marsicano e stambecco sono caratteristiche rispettivamente del Parco d’Abruzzo e di quello del Gran Paradiso, mentre il gatto selvatico è presente nell’area centro-meridionale, nelle Alpi orientali e segnalato in Friuli. Infine il camoscio appenninico, così come l’orso bruno marsicano, è caratteristico di una particolare area: ma tutte, sottolinea Legambiente, “costituiscono esempi di specie prioritarie da tutelare e in alcuni casi fortemente minacciate (come ad esempio nel caso della scarpetta di Venere, dell’orso bruno marsicano e del gatto selvatico), che si ergono a simbolo delle attività di conservazione della natura e in qualche modo ambasciatrici di territori di incomparabile bellezza ed importanza”.
Si tratta di simboli, come sottolineato, perché in Italia secondo i dati Ispra 161 specie animali sono minacciate (essendo incluse in una delle tre categorie Iucn gravemente minacciata, minacciata o vulnerabile) e 6 specie si sono già estinte (due pesci, storione e storione ladano, tre uccelli: gru, quaglia tridattila, gobbo rugginoso, e un mammifero, il pipistrello rinolfo di Blasius). minente, delle 278 specie valutate, 5 sono già estinte e 67 sono minacciate (pari al 26% del totale).
Legambiente sottolinea inoltre che le specie scelte sono state “in questi anni protette e tutelate grazie al prezioso lavoro dei parchi, presidi sicuri di conservazione attiva di tante specie a rischio oggi sempre più minacciate dalla perdita e frammentazione degli habitat, dalla crisi climatica, dal bracconaggio, dall’uso di bocconi avvelenati, dall’ibridazione, dall’introduzione di specie invasive, dall’attività antropica”, solo per citare alcune delle cause della perdita di biodiversità”.
Per ogni specie l’associazione ha realizzato una carta d’identità, con info sulla specie, sulle minacce, sugli scenari futuri e le azioni da mettere in campo. Eccole nel dettaglio.
Stambecco (Capra ibex ibex)
Simbolo del Parco del Gran Paradiso, si trova in tutto l’arco alpino, ma solo la popolazione del Parco è l’unica a non essere mai scomparsa in tempi storici. Tutte le altre popolazioni attuali, infatti, sono frutto di reintroduzioni o di nuove introduzioni. Occorre, però, ricordare che lo stambecco alpino ha rischiato l’estinzione alla fine del XIX secolo con l’avvento delle armi da fuoco e per motivi venatori (meno di 100 individui sopravvivevano sul massiccio del Gran Paradiso alla fine del 1800), salvandosi solo nelle valli che oggi compongono il Pngp, dove oggi è uniformemente presente con circa 2.900 esemplari, su un totale stimato su tutto l’arco alpino (quindi non solo in Italia che comunque detiene una parte cospicua del totale) di circa 55.000 individui. Tra le minacce per questa specie c’è, ad esempio, quella legata al carattere genetico. Ad esempio la riduzione della capacità del sistema immunitario di rispondere all’attacco di patogeni può essere messo in relazione ad una riduzione della variabilità genetica. In quest’ottica si può inquadrare l’osservata insorgenza, negli ultimi anni, di epidemie in alcune colonie. Scenari futuri: sarà importante approfondire non solo gli aspetti legati a tale variabilità, ma anche indagare le implicazioni che i cambiamenti climatici in atto avranno sulla dinamica delle popolazioni e su come queste si adatteranno ai nuovi scenari, alla luce delle prime osservazioni preliminari che già si stanno effettuando su tale aspetto.
Aquila reale (Aquila chrysaetos)
Presente sull’arco alpino e sulla dorsale appenninica peninsulare, su rilievi di Sardegna e Sicilia è protetta ai sensi della legge 157/92. Un grande pericolo per questa specie è rappresentato dai veleni usati illegalmente contro i predatori domestici e selvatici. Anche l’abbandono della montagna e il conseguente rimboschimento naturale di ambienti a struttura aperta come pascoli, prati e incolti potrebbe limitare la ripresa numerica. Scenari futuri: di interesse per questa specie sarà verificare, nel corso dei prossimi anni, la stabilità delle aree dove la densità è arrivata al suo massimo in determinati territori, come in alcuni comprensori dell’arco alpino, e verificare invece il margine di crescita di molte popolazioni appenniniche. I monitoraggi attuati dalle aree protette daranno risposte in tal senso.
Orso bruno marsicano (Ursus arctos marsicanus)
Simbolo del Parco d’Abruzzo, questa sottospecie si trova esclusivamente in Appennino e rappresenta un endemismo dell’Italia centrale. Ad oggi si contano circa 50-55 individui, la maggior parte dei quali concentrata nel Parco, con popolazione stazionaria ma in leggera espansione geografica. Numeri però inferiori rispetto alla popolazione dell’orso sulle Alpi, che conta circa un centinaio di individui. Le cause di mortalità sono essenzialmente bracconaggio, investimenti stradali e ferroviari, avvelenamento, infezioni trasmesse dal bestiame. Scenari futuri: importante rafforzare le strategie per la tutela dell’Orso bruno (Pacobace e Patom).
Lupo (Canis lupus italicus)
Dopo essere arrivato alla soglia dell’estinzione nella seconda metà del secolo scorso a causa principalmente della persecuzione umana diretta e indiretta, il lupo a partire dagli anni ’70 ha iniziato ad ampliare progressivamente il proprio areale distributivo, espandendosi su tutta la catena appenninica, ripopolando nuove aree e arrivando ormai fino alle Alpi. Lo spostamento verso nord della specie ha fatto sì che oggi anche il Gran paradiso è interessato dalla sua presenza, costantemente monitorata a partire dai 5 anni successivi il suo arrivo (avvenuto presumibilmente una decina di anni fa). Sotto osservazione e studio in particolare i rapporti tra questo carnivoro e il camoscio alpino. Nel Parco d’Abruzzo il lupo è stabilmente presente e in espansione con poco meno di una decina di branchi, è molto adattabile ai vari ambienti presenti nel Parco, dal bosco alle praterie spaziando anche tra i diversi livelli latitudinali. Le minacce per questa specie sono soprattutto: il bracconaggio, i conflitti con gli allevatori ed i cacciatori, l’incrocio con i cani vaganti, malattie e incidenti stradali, perdita e frammentazione dell’habitat, disturbo antropico, fattori demografici, forma e frammentazione dell’areale. Scenari futuri: importante approvare il Piano di conservazione e gestione nazionale del lupo.
Camoscio Appenninico (Rupicapra pyrenaica ornata)
Il camoscio appenninico va distinto da quello alpino (Rupicapra rupicapra) presente nel Parco del Gran Paradiso, ed è più imparentato con quello che si trova sui Pirenei piuttosto. Il camoscio Appenninico è, in particolare, una sottospecie endemica dell’Italia centrale e dopo aver rischiato di estinguersi nel ‘900, è riuscito a passare ai circa 3700 animali oggi distribuiti nel territorio di 5 aree protette: i Parchi Nazionali di Maiella, Gran Sasso e Monti della Laga, Abruzzo, Lazio e Molise, Monti Sibillini e Parco Regionale Sirente Velino. L’importanza delle azioni di conservazione intraprese in questi anni, grazie anche al progetto Life Cornata, è dimostrata dalla ricolonizzazione e dalla rapida crescita osservata in alcuni settori del Parco, dalla stabilità nei settori storici dell’areale e dalla disponibilità di habitat idonei anche nell’area contigua. Tra le minacce c’è da segnalare la scarsa consistenza di alcuni gruppi, in particolare per le neocolonie, la bassa variabilità genetica cui però i recenti interventi dei progetti di tutela stanno dando un grande contributo e, infine, le interazioni sanitarie a rischio con i domestici. Scenari futuri: in primis occorre aggiornare il Piano d’azione del camoscio appenninico; ragionare poi su come facilitare l’espansione ad areali vicinali a quelli che già ne vedono la presenza, oppure individuarne degli altri ex novo in cui, una volta verificato lo stato di idoneità all’accoglienza, effettuare nuove immissioni al fine di realizzare nuove colonie. Una seconda questione su cui ci si interroga è lo stretto legame che si riscontra tra i mutamenti climatici, il ritmo cui questi si realizzano e le specie animali e vegetali che devono adattarsi ad esso.
Gatto selvatico (Felis silvestris silvestris)
In Italia è diffuso a livello peninsulare e in Sicilia, in Sardegna è presente invece con una diversa sottospecie. Protetto in Italia dalla legge 157/92 e inserito tra le specie di interesse comunitario che richiedono protezione rigorosa, è il felino selvatico maggiormente diffuso nella Penisola, nonostante sia raro ed estremamente elusivo. In condizioni ottimali come tipo di habitat e abbondanza di prede, la densità tipica è di tre individui ogni 10 km quadrati. Tra le minacce per questa specie ci sono l’ibridazione con il gatto domestico, la distruzione, il degrado e la frammentazione degli habitat, l’esposizione a sostanze chimiche agricole tossiche e l’uso di bocconi avvelenati, gli incidenti stradali, la trasmissione di malattie da parte dei gatti domestici e la persecuzione diretta per il commercio della loro pelliccia, minaccia diminuita nel nostro Paese ma ancora presente in stati esteri. Scenari futuri: per la sopravvivenza di questa sottospecie diventa fondamentale il tema della corretta gestione dei gatti domestici e della responsabilizzazione dei proprietari tramite una maggiore consapevolezza delle conseguenze di un’errata tenuta dei propri animali.
Scarpetta di Venere (Cypripedium calceolus)
È la più grande e vistosa orchidea presente in Italia, diffusa maggiormente nell’arco alpino e in poche stazioni appenniniche. Si tratta di una specie fortemente minacciata e il suo stato di conservazione è ancora più critico a livello locale. Gli interventi di conservazione non sono semplici, poiché la moltiplicazione in vivo di questa pianta è estremamente difficile. Tra le azioni di tutela messe in campo si segnala il progetto Life Floranet, che ha visto tra i partner il Parco Nazionale della Majella (capofila), il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise e il Parco Naturale Regionale Sirente Velino, insieme a Legambiente e all’Università di Camerino. Tra le minacce per queste specie: la pressione turistica e l’evoluzione dinamica della vegetazione, che determina un aumento della componente arbustiva e arborea con conseguente chiusura delle radure. Scenari futuri: sarà importante verificare nel corso degli anni l’efficacia degli interventi di sostegno a favore delle popolazioni appenniniche, quelle maggiormente in sofferenza, e monitorare accuratamente i rischi di estinzione locale cui può andare incontro la specie.