Lungo i meandri delle acque più poderose del mondo, immersi nella foresta tra anaconde e formiche giganti, anche lì ci sono le prove e le storie di tutto un Pianeta che cambia per mano dell’uomo. Il Rio Negro è uno dei maggiori corsi d’acqua affluenti del Rio delle Amazzoni, Francesco Magistrali, esperto di outdoor ed esploratore, conosce queste zone e la sua gente, i nativi e i caboclos . È tornato qui per una nuova avventura navigando e costeggiando il grande fiume, a documentare con un reportage per LifeGate come gli abitanti del “polmone della Terra” osservano il cambiamento climatico cambiare le loro vite.
Amazon Expedition 2022 è nata per esplorare e documentare, con la collaborazione di 4elements, contenitore multimediale per promuovere la transizione ecologica: “L’idea, come in spedizioni passate, è stata quella di incontrare le popolazioni locali per raccogliere le loro testimonianze sui cambiamenti climatici – racconta a Green&Blue, durante una chiacchierata via Whatsapp da Manaus – ma la prima parte di questa avventura, una decina di giorni, l’abbiamo trascorsa in solitaria, pagaiando in kayak e con il sup sul Rio Negro, un ambiente unico”. Racconta che quando il fiume si ingrossa, si può navigare anche la foresta.
L’esperienza come istruttore di sopravvivenza nei boschi è servita per cavarsela, dall’accendere un fuoco al difendersi da un ambiente che può diventare ostile: “Siamo stati attaccati nel nostro accampamento dalle formiche giganti, bisogna difendersi da moltissime specie di insetti. Abbiamo navigato assieme ai boto, il delfino rosa d’acqua dolce. E tra i momenti più interessanti ci sono stati gli incontri con i pescatori del luogo, la maggior parte sono analfabeti ma conoscono bene il fiume e tutti hanno notato che il regime delle acque è cambiato negli ultimi anni”. Ad affrontare la prima parte di questo viaggio, con Magistrali, c’era il regista Igor D’India, per realizzare un trailer che servirà da lancio per tornare con una produzione più ampia. Spedizioni come queste hanno sempre bisogno di sponsor. Magistrali e D’India erano ambassador di Cressi, per testare sup e kayak sul selvaggio Rio Negro, Nikon ha partecipato come partner tecnico e hanno raccolto finanziamenti da Europassistance e Studio Cammi.
Nello zaino con l’essenziale, c’era anche una “minimanta”, un filtro per raccogliere campioni dall’acqua del Rio Negro, fornito dall’Ias (Istituto per lo studio degli impatti antropici sull’ambiente marino) del Cnr: “È una piccola rete a imbuto che si può legare a qualcosa di fisso, come un albero, o trascinare con il kayak”, continua Magistrali. “C’è un piccolo calcolo da eseguire per calcolare i metri cubi di acqua. Il filtro intercetta le microplastiche e le analisi dei laboratori del Cnr ci diranno quante ce ne sono in ogni punto, ogni campione è stato georeferenziato con il gps”. Una volta tornato in Italia li consegnerà ai ricercatori che analizzeranno la quantità di microplastiche presenti anche in un luogo remoto come questo.
A Manaus è iniziato il secondo capitolo della spedizione. Magistrali e D’India si sono separati. Il regista è tornato in Italia e l’esploratore è stato raggiunto dal fotografo Luca Meola e poi Giovanni Sgorbati, pilota di drone. Hanno proceduto a piedi e navigando per raccogliere materiale per il reportage da pubblicare su LifeGate: “Ci interessava raccogliere informazioni su tre temi, in particolare. Natura e ambiente, cambiamenti climatici e la questione indigena, che in questa regione è molto forte”, sottolinea Magistrali. “Abbiamo lasciato velocemente la città e siamo stati accolti in un grosso paese sul Rio Negro, Novo Airão, da un’associazione locale che conosco da tempo, Fam, Fundação almerinda malaquias. E abbiamo iniziato a percorrere con i locali, sia il fiume che la foresta per capire meglio con loro la questione della vita locale che della natura”.
Facendosi strada con il machete nella vegetazione, o in barca, hanno raggiunto le comunità locali di caboclos, di etnia “mista”, discendenti dei primi meticci nati dall’incontro dei nativi con gli europei. Nei villaggi dove l’associazione aiuta le famiglie a costruire scuole e ad avviare i giovani a una professione: “Si occupano di bambini e ragazzi, sia come formazione scolastica che lavorativa. Diventano artigiani – racconta Magistrali – che lavorarano il legno e questi prodotti di alto livello vengono venduti in loco ma anche in Europa. Hanno molti progetti collaterali tra cui uno che si occupa di ricostruire scuole allagate e distrutte dalle piene, che abbiamo visitato”.
A differenza dei nativi, che come le riserve nordamericane, vivono in zone ‘chiuse’, i caboclos non hanno impedimenti nei contatti con il mondo industrializzato. Questa commistione ha portato a uno spopolamento, che le associazioni comme Fam tentano di contrastare: “Hanno ereditato il sapere profondo della foresta dagli abitanti indigeni, per la sopravvivenza, caccia pesca e raccolta e agricoltura stanziale. Ma è una cultura molto a rischio, i giovanissimi iniziano a cercare la via della città, con il cellulare in mano tutto il giorno. Si perde il sapere orale e pratico tra generazioni, una conoscenza incredibile della foresta e del fiume”.
In diverse piccole spedizioni hanno visitato i villaggi e vissuto e cacciato con loro, nella foresta. Nei centri più piccoli l’unica fonte di energia sono pannelli solari o generatori a gasolio. Solo negli insediamenti più grandi si può trovare un hotspot per collegarsi a Internet. Magistrali racconta di una foresta che “in certi punti sembra quella di Avatar, in piena notte è illuminata dai funghi fluorescenti. Abbiamo seguito i cacciatori nelle battute per portare a casa il cibo. Piccoli mammiferi, cervidi, tapiri e anche scimmie. Si caccia per fame, si spara tutto ciò che si muove. Camminando tutto il giorno o, di notte, da capanne costruite a qualche metro di altezza, aspettando che qualcosa passi”. Dove le fronde si aprono, ci sono le zone coltivate, vicino ai villaggi: “Ci sono zone dedicate alla frutta tropicale, poca verdura – continua – si pianta un po’ e poi si lascia fare alla natura. Banane, cocco, guaranà, che è una liana. La foresta lavora da sola”.
Dice che anche qui la questione politica è molto sentita. Si parla di Bolsonaro e di Lula, più che una diatriba è un rifiuto di una delle due parti: “A chiunque abbia chiesto, dall’ultimo pescatore sul fiume al professore universitario di Manaus, l’opinione è condivisa: sono tutti contro Bolsonaro. Per diverse ragioni. C’è la questione del disboscamento per far posto alle piantagioni di soia, e dei garimpos, i cercatori d’oro. Mi hanno raccontato che con la scusa della guerra, che ha fatto aumentare il prezzo delle materie prime, si apre alla deforestazione alla ricerca di oro e diamanti. Tutto sotto il nome di Bolsonaro“.
Secondo i racconti raccolti da Magistrali e Meola, i locali cominciano a non riconoscere più il loro fiume. Le piene diventano furiose e imprevedibili: “Non c’è nessuno che non abbia notato forti cambiamenti nel regime delle acque, ci siamo confrontati con professori universitari di Manaus, che riconoscono gli effetti del climate change. La circolazione e il regime delle acque, che stanno cambiando tutta la vita sociale ed economica”.
A Novo Airão e nei villaggi che ha visitato, Magistrali racconta della forza delle donne, che in alcuni casi ha portato a una guida di fatto delle comunità: “Magari non ufficialmente, ma in varie interviste ci hanno raccontato che, a parte alcuni lavori impossibili per una questione di forza muscolare, la donna fa tutto quello che fa l’uomo. In più ha anche sulle spalle la casa, per quanto possa essere una capanna, senza elettrodomestici e luce”. Diventa ancora più vero in città, dove alcune di loro si spostano per cercare condizioni migliori.
Una delle storie più interessanti, che ha avuto eco mondiale, è quella di Vanderlecia Ortega dos Santos, Vanda Ortega. Diventata una figura di riferimento per la difesa dei diritti dei nativi. Magistrali e Meola l’hanno incontrata e intervistata: “La sua – conclude Magistrali – è una storia eccezionale. Viene dalla comunità Witoto, una delle tantissime sparse nella zona tra Colombia e Brasile. Come tantissime giovani è finita a Manaus, obbligata dalla famiglia per questioni economiche. Faceva la domestica per una famiglia ricca, veniva dalla foresta senza aver mai usato il denaro. Per anni pagata pochi euro al mese. Per una serie di casi fortunati ha conosciuto le persone giuste, ha potuto studiare ed è riuscita a cambiare lavoro. È stata la prima indigena a essere vaccinata in questa comunità. È diventata un punto di riferimento, grazie anche alla possibilità di accedere a Internet. Fino a incontrare, pochi giorni fa, Lula a Brasilia. Tenterà di diventare deputata federale per dare una voce in più alla sua gente”.