Un tempo, alla fine dell’Ottocento, l’energia elettrica veniva prodotta da piccole centrali costruite nei pressi delle fabbriche e quella in eccesso era poi data al vicinato. All’epoca nessuno le chiamava comunità energetiche, perché non esistevano ancora le reti centralizzate di distribuzione. Era semplicemente la forma più diffusa. Così nacquero le prime cooperative, alcune delle quali sopravvivono ancora oggi in nord Italia, modello che ha poi ispirato l’idea delle comunità energetiche vere e proprie a partire dal 2010.
“Le cooperative, specie da noi, erano e sono tutt’oggi legate all’idroelettrico”, racconta Edoardo Zanchini, classe 1971, vicepresidente di Legambiente per undici anni dove si è occupato spesso del tema, e ora Direttore dell’ufficio Clima di Roma Capitale. “Non ne abbiamo tante, a differenza di Germania, Belgio o Danimarca fra gli altri, dove sono realtà diffuse, ma hanno origini piuttosto antiche”.
Una legge del Regno d’Italia permetteva ai soci delle cooperative di produrre e distribuire energia. Accadeva quindi che queste associazioni gestissero una centrale idroelettrica e i soci ne beneficiassero: privati, industria, enti pubblici locali. Da noi solo una minima parte di tali organizzazioni è sopravvissuta e sono tutte nelle Alpi. Fra le altre c’è quella di Brunico, di Dobbiaco, di Prato Allo Stelvio, di Funes, dove nessuno si sogna di sottoscrivere un contratto con un distributore nazionale perché l’energia è prodotta in zona e a prezzi molto bassi, essendo stati aggiunti di recente anche il fotovoltaico e l’eolico.
“Il fenomeno dell’accentramento in grandi reti nazionali era inevitabile”, aveva spiegato due anni fa Brian Janous, general manager di Microsoft, dove si occupa di sostenibilità e politiche energetiche, inclusa l’acquisizione di terreni dove installare data center e gli accordi con i fornitori di energia per farli funzionare. Ha 43 anni e due lauree, una in economia e l’altra in filosofia. La sua passione sono i sistemi complessi. Secondo lui il traffico dei dati oggi sta attraversando una fase che le reti elettriche hanno vissuto nei primi anni del Novecento, con una convergenza verso pochi grandi colossi per abbattere i prezzi e fornire un servizio omogeneo. “Thomas Edison fu il primo, nel 1880, a pensare ad una distribuzione centralizzata per offrirla a tutti a costi minori. Ora stiamo costruendo un’altra rete di distribuzione, dedicata ai dati, aggiungendola a quella elettrica che però sta migrando verso solare ed eolico, con un ruolo determinante delle batterie per immagazzinarla e dell’intelligenza artificiale per gestire al meglio consumi, picchi e potenza di calcolo”.
Il punto sono proprio le rinnovabili come il fotovoltaico, che per loro natura si prestano poco alla centralizzazione e molto più alla produzione e all’uso locale, tornando di fatto a guardare al mondo della produzione di energia ottocentesca. Ma è un salto in avanti, o indietro se preferite, non da poco.
Negli anni Novanta in Italia sono nate le grandi concessionarie di distribuzione separate dalla produzione, ad eccezione delle cooperative storiche alle quali è stato permesso di continuare ad operare forse perché in nord Europa sono tanto diffuse e di grandi dimensioni. Ma era ed è ancora vietato fondarne di nuove. Le comunità energetiche contemporanee arrivano venti anni dopo, idea nata dal basso nelle associazioni ambientaliste e dalla federazione europea delle cooperative Rescooop, con l’avvento dei pannelli solari. La spinta sostanziale viene data nel 2018 con la direttiva europea che sancisce il diritto all’autoconsumo energetico approvata per bloccare iniziative dei singoli stati contro il fotovoltaico. Nel 2015 il governo spagnolo di Mariano Rajoy, del Partito Popolare, aveva infatti pubblicato il Regio Decreto 900/2015, con il quale si applicavano una serie di complicazioni amministrative, tasse e sovrattasse alle installazioni di rinnovabili per proprio consumo. Venne battezzata la “tassa sul sole”. Di qui l’articolo 21 della direttiva europea che dà potere ai consumatori consentendo loro un autoconsumo “senza restrizioni indebite e di essere remunerati per l’elettricità che immettono nella rete”.
“Le comunità energetiche sono un passo avanti rispetto alle cooperative”, conclude Zanchini. “Si può accumulare energia e ne possono far parte tutti senza bisogno di doversi dare lo statuto di cooperativa e con vantaggi evidenti nell’abbattimento totale o sostanziale della bolletta”. Le prime, in forma sperimentale, già esistono in Italia. Perché si diffondano manca però il decreto del ministero della Transizione ecologica (Mite). Doveva essere approvato il 15 giugno scorso.