Il tempo delle mele è arrivato: a ottobre si è conclusa la raccolta, iniziata dalle più precoci – le Sweetango, che sanno ancora di estate – per arrivare a quelle più tardive, come la Fuji, la più dolce. Ora è tempo di maturare (non c’è un vero e proprio processo di affinamento in cella, come col vino. Di base vogliamo conservarle mantenendo le stesse caratteristiche che avevano una volta raccolte), con calma, lontano dagli alberi, ma non troppo. Perché sempre qui, in Val di Non c’è una storia romantica da raccontare, che parla del grande amore per un territorio e i suoi prodotti.

Sotto a Rio Maggiore, località Tunnetto di Predaia è nato un impianto unico al mondo: un frigorifero naturale, scavato dentro la dolomia, la roccia delle Dolomiti che ha 190 milioni di anni. È una cantina naturale con 10 gradi di temperatura costante, isolata perfettamente dall’ambiente esterno. La natura ha fatto tutto da sé, creando le condizioni per la conservazione perfetta. A 300 metri di profondità ci sono 34 celle ipogee lunghe 25 metri, alte 11 e larghe 12, ideali per contenere in tutto 30mila tonnellate di mele del consorzio Melinda. Un magazzino che è fiore all’occhiello delle politiche di sostenibilità del consorzio. Qui si conservano in modo naturale la frutta e si tutela l’ambiente circostante: ogni anno si risparmiano 27mila metri cubi di acqua e 50 mila metri cubi di terreno in superficie. Notevole anche il risparmio di emissioni di co2: 40mila kg all’anno, al pari di un bosco di conifere di 50 ettari.

Ad una struttura di questo tipo nel Consorzio hanno iniziato a pensarci una decina di anni fa. La Tassullo Materiali, azienda titolare della concessione per l’estrazione della roccia in questo sito, suggerisce a Melinda un progetto pionieristico: adibire alla conservazione delle mele gli immensi spazi di cava che risultavano dalla loro attività estrattiva. Partono i primi studi, con ricercatori italiani e internazionali. L’impatto positivo sull’ambiente non è solo evidente, ma anche di grande portata. Solo qui, a Rio Maggiore, poteva nascere una struttura di questo tipo. Ancora oggi la miniera è attiva. È il Gruppo Miniera San Romedio a gestire l’estrazione della dolomia e tutelare l’utilizzo dei vuoti di cava che ne risultano. Un cerchio che si chiude: dall’estrazione del minerale, si arriva a recuperare spazio ed energia per la conservazione di un altro bene primario delle montagne, le mele della Val di Non.

Mauro Erlicher, direttore dello stabilimento Cocea 

A spiegarlo è Mauro Erlicher, direttore dello stabilimento Cocea, uno dei 7 centri di confezionamento Melinda. “Solo noi siamo riusciti a costruire una struttura di questo tipo perché l’ambiente naturale è molto particolare. Siamo all’interno di una miniera di 80 ettari, tutta di dolomia. Una roccia molto dura che si è formata nel periodo della deriva dei continenti. Le celle si trovano a 900 metri dall’ingresso e 300 metri sottoterra, sotto le radici dei meleti del consorzio. È un blocco di roccia duro che non ha bisogno di sostegni ed è completamente asciutto. La roccia è talmente compatta che non ha neppure bisogno di pannelli isolanti. Dalla roccia non scappa nulla. Una serie di fortune che rendono questo un posto unico al mondo. Poi la tecnologia ha fatto il resto”.

Nel 2015 le celle erano 11 in tutto, oggi sono 34 e nel 2022 diventeranno 45: alle 30 mila tonnellate di capienza di oggi se ne potranno altre 10 mila nel nuovo lotto. Non tutte le mele Melinda finiscono nelle celle dentro la miniera – il 15 per cento su un totale di 440 mila tonnellate annuali – ma quelle che lo fanno, seguono un iter preciso. “Nel periodo di raccolta – racconta Erlicher – il prodotto viene conferito giornalmente alle cooperative e poi posto nella cella, in un tempo di riempimento di 5 giorni: ogni giorno si lavora per il  20 per cento di capienza. Finito il riempimento inizia la fase di conservazione. La mela non ha bisogno di prodotti chimici per la conservazione: basta seguire regole ferree nella regimazione, nel mettere il prodotto in un certo modo in cella. Finiti i 5 giorni di riempimento di passa all’atmosfera controllata. Abbassando l’ossigeno nelle celle, rallentiamo in modo naturale la maturazione della mela. Così la mela che arriva al consumatore è sempre matura al punto giusto, perché si apre un ambiente alla volta, e ad ogni apertura, l’ossigeno dà il via alla maturazione”.

L’investimento tecnologico è evidente. “Durante l’arco della conservazione – aggiunge Elicher – il controllo è continuo: ci sono analizzatori che controllano l’aria, sempre sotto l’occhio dei nostri tecnici. L’investimento in tecnologia è alto ma la resa è ottima. Per noi una soddisfazione immensa il fatto di aver azzerato l’impatto ambientale. Qui solo il 20 per cento del terreno è coltivato, siamo una valle alpina. La possibilità di utilizzare queste gallerie scavate all’interno della roccia che invece sarebbero state inutilizzate è per noi una enorme fortuna. Ma non solo per noi, anche per tutto il territorio. E per il consumatore che ha tra le mani una mela nata e conservata in modo naturale, in condizioni assolutamente uniche”.

Per saperne di più:

melinda.it/le-celle-ipogee-di-melinda

melinda.it/sostenibilità