La Germania spegne il nucleare, ma nel mentre aumenta l’utilizzo del gas nella difficile transizione verso fonti energetiche più green. Potrebbe accadere anche altrove, e c’è chi si chiede che effetti avrebbe la rinuncia al nucleare non solo in termini di fonti da utilizzare in alternativa per soddisfare i bisogni energetici, ma anche per la salute. Già, perché la rinuncia al nucleare significherà rivedere le proprie necessità energetiche, ricorrendo a fonti più inquinanti, con conseguenze per l’ambiente e la salute.
È questo il tema affrontato da un lavoro, da poco pubblicato su Nature Energy, da un team di ricercatori del Mit di Cambridge (fucina di ricerca per la fusione nucleare), che si sono chiesti cosa succederebbe negli Usa spegnendo tutti i reattori nucleari. Ma non solo: i ricercatori hanno infatti elaborato delle previsioni in diversi scenari energetici, che prevedano la rinuncia a nucleare e carbone, o la rinuncia al nucleare con lo sperato incremento di rinnovabili. Considerato che oggi il nucleare negli Usa risponde al bisogno di circa il 20% di energia elettrica è facile immaginare che spegnerlo abbia degli effetti importanti, non solo in termini di diversificazione della produzione – che molto spesso significa incremento delle fonti fossili, ricordano dal Mit – ma anche in termini di salute, per effetti dell’inquinamento atmosferico.
“Nelle discussioni sul mantenere aperte le centrali nucleari, la qualità dell’aria non è stata al centro del dibattito”, spiega infatti in una nota del Mit Noelle Selin, tra gli autori dello studio: “Quello che abbiamo scoperto è che l’inquinamento atmosferico da impianti a combustibili fossili è così dannoso che tutto ciò che lo aumenta, come l’arresto delle centrali nucleare, avrà impatti sostanziali, e per alcune persone più che per altre”. Come neri e afroamericani, più esposti agli effetti dannosi dell’inquinamento, ricordano gli esperti.
Combinando insieme le risposte della rete elettrica in base ai consumi, con i modelli di emissione delle diverse centrali e di circolazione atmosferica, i ricercatori sono riusciti a stimare l’impatto della chiusura delle centrali nucleari in termini di inquinamento e morti correlate. Così, scrivono, senza nucleare avremmo 5200 morti in più l’anno per effetti di particolato e ozono. Ma non solo: a causa dell’aumento delle emissioni di anidride carbonica entro la fine del secolo si potrebbero avere fino a 170 mila morti in più. Considerando però lo scenario in cui la chiusura delle centrali nucleari si accompagni all’aumento delle rinnovabili, le morti collegate all’inquinamento, per solo effetto del particolato, sarebbero circa 260 l’anno in più. Molte meno ma comunque abbastanza per affermare che non si avrebbe un miglioramento della qualità dell’aria, puntualizzano gli autori. Per lo scenario in cui venissero spente sia le centrali nucleari che quelle al carbone i benefici maggiori si avrebbero per chi abita in prossimità di queste ultime, con incrementi di mortalità più bassi rispetto alle zone senza carbone (30 per milione, rispetto a 40 per milione, si legge nello studio).
Lo studio è solo un insieme di modelli, e manca di considerazioni importanti. Per stessa ammissione degli autori, infatti, che ricordano il potenziale pericolo associato alle centrali nucleari, in termini di rischio incidenti e gestione delle scorie, analisi più complete dovrebbero pesare anche gli effetti associati all’utilizzo e mantenimento delle centrali nucleari. Quello che per ora lo studio può fare è solo un invito a considerare più a fondo gli aspetti legati all’inquinamento derivanti dallo shutdown delle centrali nucleari.