Attenzione ai sussidi, anche quando sembrano “green”. Ad affermarlo, sulla rivista Science, è un gruppo di ricercatori ed economisti che mette in guardia dalle insidie che si celano dietro questo tipo di agevolazioni. Il rischio, infatti, è quello di alterare le pressioni del mercato, portando a conseguenze indesiderate che non solo perpetuano nel tempo i sussidi considerati “dannosi”, ma diminuiscono anche l’efficacia complessiva di quelli destinati a promuovere la sostenibilità ambientale.
Se da una parte non c’è dubbio che le agevolazioni favoriscano gli obiettivi ambientali e di sostenibilità: è un approccio politicamente più semplice per attuare un cambiamento rispetto alla creazione di nuove leggi o tasse, nonché per assicurarsi il sostegno di particolari gruppi di interesse. Un esempio è l’Inflation Reduction Act approvata nel 2022 dagli Stati Uniti che, attraverso crediti d’imposta e sussidi per veicoli elettrici, energia solare ed eolica, mira ad aumentare l’uso delle fonti rinnovabili e a migliorare l’efficienza energetica. Tuttavia, anche in questo caso, ci sono alcuni incentivi che sembrerebbero rispettare l’ambiente, ma che in realtà sono un’arma a doppio taglio. Un esempio? Quello sulle auto elettriche.
“Un sussidio che inizialmente poteva essere considerato vantaggioso per la società potrebbe alla fine essere riconosciuto come un costo che supera di gran lunga i benefici”, scrivono gli autori. Questi incentivi da un lato portano senza dubbio ad una riduzione delle emissioni di gas serra, ma allo stesso tempo, rendendo i veicoli più appetibili economicamente, ne incrementano l’uso. Per il team di ricerca, invece, sarebbe stato meglio destinare questi fondi ad incrementare le infrastrutture e l’accesso ai trasporti pubblici, in modo da invogliare le persone ad utilizzare meno l’auto rendendo l’impatto ambientale positivo maggiore.
Miliardi di dollari per investimenti sostenibili finiti alle fonti fossili
Ad oggi sono in vigore diversi incentivi che, secondo economisti e ambientalisti, sarebbero dannosi per l’ambiente, in quanto contribuirebbero attivamente al cambiamento climatico. I sussidi agli input agricoli statunitensi, ad esempio, sono alla base del 17% dell’inquinamento da azoto, mentre quelli per la produzione causano il 14% della deforestazione globale. Nel 2018, quasi il 70% dei 35,4 miliardi di dollari destinati alla pesca è stato utilizzati per l’acquisto di carburante, investimenti di capitale e infrastrutture, tutti fattori che contribuiscono alla pesca eccessiva.
Nonostante i leader del G20 si siano impegnati a eliminare gradualmente gli incentivi ai combustibili fossili, alcune fonti stimano che nel 2022 fossero ancora 1.300 miliardi i dollari elargiti a questo settore, a causa dei notevoli interessi acquisiti e delle pressioni politiche esercitate dalle aziende beneficiarie per mantenerli in vigore. Negli Stati Uniti, l’amministrazione Biden ha tentato ripetutamente di abrogare le agevolazioni fiscali per tali combustibili, ma senza successo. Secondo Segerson sarebbe più efficace, da un punto di vista economico, tassare le attività che generano effetti negativi, come la carbon tax. Si tratta, tuttavia, di una soluzione difficile da attuare. I sussidi costituiscono, perciò, un’opzione di ripiego, ma è importante, secondo gli autori, che abbiano una scadenza, così da poter essere rimossi quando sarà possibile fare qualcosa di meglio. “Possiamo sovvenzionare questi processi produttivi più ecologici, ma con cautela e riconoscendo che non vogliamo dipendere da questi sussidi a lungo termine“, conclude Segerson.