Solo l’autopsia e le indagini avviate dall’Ispra potranno accertare che cosa ha causato la morte dell’orsa F43 ieri in Trentino. Intanto, però, le associazioni animaliste protestano e denunciano “menefreghismo, superficialità e indifferenza”. È il caso di Animalisti Italiani Onlus, che chiede una “commissione di indagine per conoscere come sono realmente andate le cose”.
In realtà le procedure per capire se si è trattato di un incidente, o qualcosa è imputabile ai veterinari ed esperti che dovevano cambiare il collare dell’orsa, sono state avviate immediatamente. Si tratta di un iter consolidato, oltre che indispensabile, poiché gli orsi sono specie protetta e tutte le operazioni di anestesia sono fatte tenendo conto di procedure scientificamente verificate. La morte di orsi per effetto dell’anestesia è un incidente che, pur non risultando frequente nella casistica relativa alla specie, viene valutato in letteratura possibile tra lo 0,5% ed il 10% dei casi.
Il più recente in Italia risale al 2018, quando morì un orso marsicano nel Parco Nazionale d’Abruzzo: le indagini accertarono che l’anestesia non era la causa primaria della morte dell’animale, che aveva “problemi sanitari gravi”. In Trentino si registra un precedente nel 2012, molto simile a quello accaduto ieri: l’animale (JJ5) catturato con una trappola a tubo nella zona pedemontana fra Monte Terlago e Ranzo di Vezzano, morì per l’anestesia. C’è poi il caso molto famoso dell’orsa Daniza nel 2014, che suscitò enormi proteste perché aveva i cuccioli. In tutti i casi trentini, gli animali venivano monitorati o erano oggetto di controllo, perché si mostravano troppo confidenti e si avvicinavano alle zone abitate.
Salta appunto agli occhi che i casi siano più numerosi in Trentino, dove secondo i dati della Provincia autonoma ci sono 110 orsi, una quarantina in più rispetto al 2017, contro i circa 60 esemplari di orso marsicano del Parco d’Abruzzo. Piero Genovesi, responsabile del Servizio per il coordinamento della fauna selvatica dell’Ispra, a questa osservazione risponde: “È un dato di fatto che in Trentino vengono operate molte catture di orsi. Proprio per questo vogliamo capire se si tratta di uno dei casi purtroppo contemplati nella statistica, oppure se ci sono stati errori, possibili ovunque anche su procedure consolidate. Se ci saranno responsabilità, verranno accertate”.
Al momento gli esperti non fanno ipotesi e non confermano quanto diffuso ieri da alcuni organi di stampa, secondo cui è stata la posizione assunta dall’orso dentro la trappola a tubo, quando si è addormentato, ad averne causato la morte. “Siamo stati chiamati immediatamente dalle autorità trentine – informa Genovesi – e ora le stesse autorità stanno preparando una relazione dettagliata. Gli elementi certi in questo momento sono che l’animale è morto dopo l’anestesia, che era stata approntata da veterinari esperti. Aspettiamo il verbale per valutare i dosaggi”.
La quantità di anestetico usata è infatti dirimente in relazione al peso dell’animale. “La sedazione di un animale selvatico presenta gli stessi rischi di quella di un essere umano – spiega Genovesi – con la differenza che su un orso non si possono fare tutti gli esami preliminari e l’anamnesi che si fanno su un uomo o su un cane sottoposto a un intervento in ambulatorio. Anche la determinazione del peso dell’esemplare da anestetizzare per un dosaggio esatto non è semplice e i margini di rischio ci sono, ma rientrano in meno del 2% su migliaia di catture di orsi in tutto il mondo”.
Proprio in considerazione di queste percentuali si può parlare di un “caso trentino”? “Ribadisco che sono considerazioni inutili in mancanza di un’autopsia e dati completi. – precisa l’esperto – Di sicuro l’intervento era necessario, perché il collare aveva smesso di funzionare e andava cambiato, era un’operazione indispensabile per salvaguardare l’orsa e gli uomini”.
Le associazioni animaliste però mettono in discussione proprio queste procedure di controllo. “Il radiocollare viene applicato agli animali confidenti, serve a verificare i loro spostamenti per ridurre le interazioni con gli esseri umani. Si tratta di uno tra i sistemi per ridurre i conflitti e per evitare appunto che la popolazione si senta minacciata dalla presenza di orsi”.
Anche la trappola in cui è morta l’orsa è un macchinario standard, che non viene usato soltanto in Trentino. “Le trappole a tubo sono state sperimentate ormai da anni, in Nord America sono in uso da tempo su centinaia di animali, per cui mi sembra difficile che quanto accaduto a F43 sia riconducibile alla trappola – precisa Genovesi – Il problema sta nella difficoltà di calibrare l’anestesia, perché pur se l’animale si trova chiuso nella trappola, deve essere completamente addormentato perché il personale possa cambiargli il collare”.