La mancanza d’acqua in questo momento è grave. Nel nostro Paese, le conseguenze della crisi climatica si manifestano con afa e siccità da record ormai da settimane e la raccomandazione che fa eco dai telegiornali è: “non innaffiare!”. Come comportarsi? Occorre certamente rispettare regolamenti regionali e ordinanze che, oltre a normare l’uso dell’oro blu in agricoltura e nel verde pubblico, disciplinano orari e modalità delle bagnature anche in ambito privato, all’insegna del massimo risparmio idrico. Bisogna limitarsi al minimo necessario e ammesso, senza far morire le piante. Sono esseri viventi e sono proprio loro il rimedio più efficace per arginare le conseguenze del riscaldamento globale, tanto che il legislatore – nel caso di Milano, per esempio – fa esplicito riferimento ai “nuovi impianti di alberi e arbusti” da salvaguardare.

Pensiamo a un giardino condominiale. Spenti gli impianti di irrigazione a pioggia concepiti per i prati, accudiamo i giovani alberi agonizzanti con minime annaffiature di soccorso, possibilmente riutilizzando l’acqua usata per lavare le verdure. Crescendo, queste piante ci ripagheranno con innumerevoli servizi: assorbono grandi quantità di CO2, bloccano le polveri sottili, abbassano la temperatura dell’aria da 2 a 4°C, regalano ombra e biodiversità e alla sola vista, riducono i nostri livelli di stress, come riporta Ispra.

Anche in balcone, ovviamente, vige la parsimonia, per superare il momento drammatico senza lasciar seccare oleandri e beniamini per poi magari riacquistarli in modalità “usa e getta” tralasciando un’etica rispettosa dell’ambiente, comportamento che avrebbe un’impronta ecologica notevole, e quindi un impatto ulteriore sul riscaldamento del Pianeta. In quest’ottica di medio periodo, un verde senza sprechi di acqua deve diventare la nuova normalità in un mondo sempre più caldo.

1. Quando serve davvero bagnare?

Innanzitutto, impariamo a osservare: la pianta mostra sempre i primi segni della sete, a cominciare dal turgore delle foglie. Un metodo infallibile per evitare sprechi consiste nell’infilare un dito nella terra (il contatto con il suolo, peraltro, funziona anche come tecnica di rilassamento, come attesta l’Università Sapienza di Roma: il grounding). Se si percepisce una sensazione di fresco e umido si può ancora aspettare; se il dito torna fuori asciutto e pulito, invece, è ora di bagnare. Una regola da adottare anche in casa, tenendo conto che le specie d’appartamento muoiono più spesso per la troppa acqua che per la sua mancanza.

2. Parsimonia e riuso

Quanto bagnare? In vaso, basta il minimo necessario per veder defluire l’acqua nel sottovaso. I giovani alberi e i cespugli coltivati in piena terra, invece, vanno resi il più possibile indipendenti dalle annaffiature. Come si fa? Con bagnature abbondanti ma rade – per esempio settimanali – simulando un acquazzone. Se l’acqua penetra in profondità nel terreno, infatti, le radici si spingono a fondo, permettendo alle piante di diventare autonome. Così, dopo il primo anno dalla messa a dimora, si può intervenire solo con innaffiature di soccorso quando non piove da tempo. Viceversa, con bagnature molto superficiali, le radici restano a filo di terra, dipendenti dal nostro aiuto. Agli ortaggi, infine, basta davvero pochissima acqua vicino alle radici, perché le piante annuali regolano la loro crescita in funzione di quanto hanno a disposizione.

In tutti i casi, impariamo a usare acqua di riciclo. Per esempio, possiamo sciacquare frutta e verdure in un catino anziché sotto il rubinetto per riutilizzare l’acqua, così come quella degli ultimi risciacqui del bucato. Chi ha un giardino o un tetto, può installare serbatoi che raccolgano la pioggia dalle grondaie.

3. Sottovasi si o no?

La risposta è si, ma mai troppo grandi. Devono sbordare di appena uno o due centimetri rispetto al fondo del vaso. In questo modo, l’acqua che scorre via dai fori di drenaggio non va sprecata e viene riassorbita dalla terra per capillarità nel giro di mezz’ora, reidratando a fondo la pianta (dunque, niente ristagni né zanzare). Quanto ai vasi migliori, dal punto di vista del risparmio idrico, quelli in resina riciclabile sono da preferire al cotto (molto traspirante), privilegiando i modelli con dispositivo di riserva d’acqua sul fondo. Per una scelta più ecologica, si può puntare sui vasi biodegradabili in lolla di riso oppure sul riuso creativo di altri contenitori, come le grandi latte zincate.

4. Le ore migliori e la “protezione solare”

In estate le ore migliori per innaffiare sono quelle serali o notturne, perché la pianta non subisca uno choc termico e soprattutto perché, innaffiando senza il sole, si riduce di molto l’evaporazione e l’esemplare si reidrata a fondo fino al mattino seguente. Molte delle ordinanze entrate in vigore in questi giorni puntano proprio sulle annaffiature notturne per evitare sprechi. Una tecnica fondamentale per risparmiare acqua evitando alla terra di asciugare in fretta si chiama pacciamatura e consiste nel coprire il terreno per proteggerlo dal sole, per esempio con della paglia (pacciamatura naturale) oppure con delle piante tappezzanti (pacciamatura vivente), riducendo l’evaporazione.

5. Canna o innaffiatoio? C’è una terza via

La miglior soluzione antispreco per innaffiare, da adottare d’ora in poi in via definitiva, sono gli impianti di irrigazione a goccia, i cui augelli portano l’acqua vicino alle radici in quantità minima. Se ne trovano anche in kit di montaggio domestico e funzionano bene, a patto di tarare ad hoc la portata e i minuti di irrigazione in base alle dimensioni dei vasi. Per chi ha poche piante in balcone, l’annaffiatoio è uno strumento mirato e “chirurgico”, perché consente di calibrare bene l’operazione e di riciclare l’acqua di casa. Il tubo è da evitare, perché finiamo quasi sempre col prenderci la mano ed esagerare con l’acqua; si può tenere una “canna” per le emergenze, ma è fondamentale che abbia in cima una “pistola” che permette di interrompere il getto nello spostarsi e di regolarlo in modalità a basso consumo.

6. Rispettare il “letargo” estivo

Sospendiamo anche le concimazioni. Bisogna fare attenzione a non dopare troppo le piante. Concimare significa incoraggiare i vegetali a svilupparsi e accelerare il loro metabolismo, ma germogli, fiori e nuovi tessuti in fase di crescita traspirano parecchio aumentando il loro fabbisogno d’acqua. In periodi come questo, dunque, smettiamo di nutrirle rispettando il “letargo” che la maggior parte delle specie mediterranee adottano in natura nei momenti di grande caldo. Così facendo, la pianta entra in modalità di “risparmio energetico” e traspira molto meno, dunque tollera meglio la scarsità d’acqua e possiamo bagnarla al minimo. La saggezza contadina, del resto, ci ha insegnato che le piante possono pian piano essere abituate a diventare frugali.

Emergenza idrica, nove azioni quotidiane per risparmiare acqua

7. No al prato all’inglese, sì al prato asciutto inclusivo

Bandite le irrigazioni del prato. Il manto all’inglese verde brillante e perfettamente rasato che è una gioia dove piove tutti i giorni, nei nostri climi si trasforma in una idrovora. Quindi, sospendiamo definitivamente le irrigazioni, regoliamo le lame del tosaerba a livello più alto (fili d’erba alti 5 cm proteggono meglio il terreno dall’insolazione) e accettiamo l’idea di un prato giallo (ma anche sonoro di grilli) in estate. Poi attendiamo che la natura faccia il suo corso trasformando il tappeto all’inglese in un prato “all’italiana”, cioè inclusivo, accogliendo anche le erbe un tempo considerate infestanti. Si dunque a pratoline, veronica, aiuga, violette: arrivano da sole e, se tenute rasate, danno un effetto fitto e bello (anche in ombra) con il plus di un’incredibile biodiversità. Tali prati naturali tornano perfetti alle prime piogge d’autunno. Non servono gli ammonimenti dei movimenti anti-pratisti per ricordarci che sui tappeti verdi urge cambiare mentalità in maniera repentina; basti pensare che negli Usa prati e campi da golf bevono più di tutte le altre coltivazioni messe insieme.

8. Il trucco dei cristalli d’acqua

Miscelare al terriccio dei vasi dei granuli di “acqua secca”, ovvero cristalli di poliacrilato di potassio, in vendita nei consorzi agrari oppure on line con la funzione di riserva d’acqua, aiuta parecchio. Questi granuli assorbono il liquido delle annaffiature e poi rilasciano gradualmente l’umidità alle radici fino a trenta giorni. Grazie a ciò la pianta riesce a superare momenti di forte stress idrico e si può bagnare molto di rado. Il prodotto si degrada nel tempo senza rilasciare sostanze tossiche. Lo stesso effetto, ma in misura minore, lo si ottiene con l’argilla, che normalmente è contenuta in buona quantità nella comune terra da giardino. Quando è possibile, dunque, bisogna riempire le nuove fioriere miscelando a un terriccio in sacco di qualità almeno un terzo di buona terra da giardino.

9. Mescolare ortaggi ai fiori

Cosa c’entra con il risparmio idrico? È dimostrato che coltivare i propri legumi incoraggia il consumo di vegetali e sottrarre anche un solo hamburger a settimana dalle nostre tavole significa risparmiare 2.400 litri di acqua, quelli necessari per produrre quella carne, tra quanto serve per innaffiare il mais dei mangimi e il resto della filiera. Quanti alberetti si potrebbero salvare, dunque, in cambio di un hamburger? Con tale consapevolezza, si può puntare per esempio su fagioli, pomodori siccagni e aglio, che richiedono poca acqua. Questo approccio olistico e attento alla salute dell’ambiente è quello che il filosofo e paesaggista francese Gilles Clément chiama giardinaggio planetario, invitando ogni giardiniere a coltivare il pianeta (nel best seller Il Giardiniere Planetario, di Gilles Clément, 22 Publishing).

10. Scegliere bene le piante

In accordo con quanto sostengono i climatologi, la scarsità d’acqua sarà sempre più la nuova normalità. Occorre dunque cambiare paradigma e pensare a balconi e giardini con minori esigenze idriche a priori. Stop agli acquisti d’impulso: compriamo la pianta solo dopo aver studiato le caratteristiche del punto in cui metterla, sposando uno stile in sintonia con il clima d’oggi. Dalle succulente, per esempio, allo xeriscaping, che utilizza solo specie resistenti alla siccità. Interessantissimo, anche il lavoro del ricercatore e vivaista francese Olivier Filippi (in Il Mediterraneo nel Vostro Giardino. Un’ispirazione per il futuro, tradotto da Stefano Mazzarelli per Libreria della Natura, 2021).