Che fine hanno fatto i molluschi della Galizia? Tra i più grandi produttori di cozze, seconda solo alla Cina, la regione nord-occidentale della Spagna che affaccia sull’Atlantico lancia un campanello d’allarme. Perché il calo di vongole, lupini e cozze – fino al 90% in pochi anni, con un trend di vongole in decremento dell’80% nel 2024 rispetto all’anno precedente – è, qui, sotto gli occhi di tutti. La produzione di cozze, allevate sulle cosiddette bateas, corde tese da zattere in legno, è stata – nel 2024 – la più bassa degli ultimi anni: appena 178 mila tonnellate, nel 2021 erano 250 mila.
Al Guardian, che in queste ore ha denunciato il caso, María del Carmen Besada Meis, che dirige l’associazione dei pescatori di San Martiño nella Ría de Arousa, un tempo pescosissimo, ha spiegato che l’indiziato numero uno potrebbe essere il cambiamento climatico. “Già, perché le recenti piogge torrenziali hanno ridotto la salinità delle rías (le insenature profonde, dalle coste ripide, tipiche dell’intera area, ndr). Negli ultimi due anni – aggiunge – le precipitazioni sono state ben al di sopra della media. Ma non abbiamo prove sufficienti e ci piacerebbe se qualcuno venisse a fare delle ricerche adeguate”. Sul piede di guerra tutti i “marisqueros”, i pescatori di conchiglie. Da un lato puntano l’indice contro le politiche Ue, che favorirebbero le grandi multizionali. Dall’altro, chiedono risposte: perché stanno scomparendo i molluschi? “C’entra di sicuro l’inquinamento”, spiega Marta Martín-Borregón, responsabile oceani di Greenpeace Spagna.
Sotto accusa fabbriche e imprese agricole, che riverserebbero rifiuti d’ogni tipo nell’estuario: un quantitativo che si tradurrebbe in un superamento del 10% dei limiti di tossicità consentiti dalla legge. E all’orizzonte si stagliano anche piani di riapertura della miniera di rame di Touro-Pino, e la proposta di un grande impianto di produzione di cellulosa che, denuncia Greenpeace, consumerebbe 46 mila metri cubi di acqua al giorno, l’equivalente dell’intera provincia circostante di Lugo. Inquinamento e crisi climatica, dunque. Con un focus sull’innalzamento della temperatura delle acque: “Le acque delle rías sono sempre state fredde, il loro riscaldamento dei mari ostacola il ciclo biologico delle cozze”, spiega Martín-Borregón. E favoriscono la diffusione di inattese specie aliene, come il famigerato granchio blu e fatalmente arrivato anche a queste latitudini: la loro presenza invasiva soppianta gradualmente altre specie di granchi, dal valore commerciale più consistente. Un’altra gatta da pelare, per i piccoli pescatori galiziani, sempre più disorientati.
Non sorride neanche l’Italia
Non sembra andare meglio, però, alle produzioni di cozze del Mediterraneo sulle coste italiane: nel corso degli ultimi anni diversi eventi di mortalità di massa di questi molluschi hanno interessato sia popolazioni selvatiche che allevamenti. L’ultimo ha avuto luogo nel corso dell’ultima stagione estiva. A settembre, lungo la Costa del Conero, nelle Marche, l’Istituto per le risorse biologiche e le biotecnologie marine del Consiglio nazionale delle ricerche di Ancona (Cnr-Irbim) ha documentato una mortalità severa di questi molluschi, prossima addirittura al 100% in alcune aree. L’evento è successivo al verificarsi di prolungate ondate di calore marine, registrate dalle boe del CNR IRBIM, con picchi di temperatura del mare superiori ai 30 gradi centigradi e fenomeni estesi di mucillagine.
Il sospetto, anche qui, è che le cozze – al pari di almeno altre specie marine – paghino dazio al cambiamento climatico. “Ogni specie ha una sua nicchia climatica, il che significa che la sua sopravvivenza è limitata da un particolare range di temperature e da altre variabili biofisiche. – spiega Ernesto Azzurro, dirigente di ricerca Cnr-Irbim e promotore di un questionario online volto a mappare la mortalità dei molluschi – Per molti anni abbiamo considerato le cozze come una risorsa inesauribile, ora questi eventi dimostrano quanto siano vulnerabili. Il riscaldamento dell’acqua provoca un generale indebolimento del bisso (l’insieme di filamenti che li tiene attaccati i mitili al substrato), aumentando il rischio per questi animali di essere trasportati via dalle correnti e dalle mareggiate. In più, periodi prolungati di siccità compromettono la capacità di questi bivalvi filtratori di nutrirsi adeguatamente”.
La speranza della Nature Restoration Law
“Per coltivare molluschi sani, gli agricoltori hanno bisogno di acqua pulita, ecosistemi robusti e un clima stabile. – conferma Laura Airoldi, che insegna ecologia all’Università di Padova e lavora alla Stazione Idrobiologica U. D’Ancona di Chioggia – Ma condizioni essenziali sono sempre più minacciate dall’inquinamento, dalla distruzione degli habitat e dai cambiamenti climatici.
Il ripristino degli ecosistemi svolge un ruolo cruciale nell’invertire questi danni, garantendo che gli ambienti marini e costieri possano continuare a sostenere la biodiversità e i mezzi di sussistenza sostenibili. Per questo l’Unione Europea ha introdotto la legge sul ripristino della natura, iniziativa rivoluzionaria volta a ripristinare almeno il 20% delle terre e dei mari dell’UE entro il 2030. – aggiunge Airoldi – Proteggendo e rivitalizzando habitat come le zone umide, le praterie di fanerogame e le barriere di ostriche, la legislazione sostiene la biodiversità, migliora la qualità dell’acqua e rafforza la resilienza climatica. Investire nel ripristino degli ecosistemi non è solo una necessità ambientale, ma è un impegno per un pianeta più sano, un’economia fiorente e un futuro sostenibile per tutti”. Compresi i piccoli pescatori galiziani.