L’inquinamento è maggiore nelle città che hanno aeroporti. Ma oltre l’impatto che le emissioni causano sull’ambiente, le minuscole particelle (particolato – PM fine e ultrafine) emesse dai motori, sia in alta quota che nelle fasi di decollo e atterraggio, incidono direttamente sulla salute dei cittadini che vivono nelle vicinanze dei 32 scali più frequentati d’Europa. Nonostante già da 15 anni l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) avverta della crescente preoccupazione per questo inquinante, non è stata ancora definita la soglie di concentrazione di UFP nell’aria. Eppure, ridurre le emissioni di UFP (Ultra Fine Particles) è possibile e ad un costo ragionevole. Come? Attraverso l’adozione di carburanti di migliore qualità, sarebbe vantaggioso non solo per i cittadini che vivono vicino agli aeroporti, ma anche per il pianeta. Costerebbe meno di 5 centesimi a litro di carburante.

 

Gli effetti delle esposizioni

È quanto emerge da una ricerca che Transport & Environment, organizzazione ambientalista indipendente europea. Si scopre cosi che sono 1,6 milioni i cittadini italiani (52 milioni in Europa: il 10% di tutta la popolazione) che vivono in un raggio di 20 chilometri dai due aeroporti più trafficati d’Italia: Roma Fiumicino e Milano Malpensa.

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Ma c’è un dato che aiuta a comprendere meglio la situazione: sono oltre 900 mila i milanesi che respirano aria di bassa qualità nelle vicinanze dell’aeroporto di Malpensa, 700 mila invece i romani che, vivendo in prossimità dello scalo di Fiumicino, sono esposti alle particelle tossiche. Secondo lo studio, l’esposizione alle UFP, la componente più piccola del particolato – può essere collegata allo sviluppo di condizioni di salute gravi e a lungo termine, tra cui problemi respiratori, cardiovascolari e complicazioni durante la gravidanza. Attraverso la respirazione queste particelle – che hanno un diametro inferiore ai 100 nanometri – penetrano profondamente nel corpo umano. Sono state trovate nel sangue, nel cervello e nella placenta. In Italia l’esposizione potrebbe essere associata a 7 mila casi di ipertensione e altrettanti di diabete e più di 200 casi di demenza. Secondo la nuova ricerca, l’esposizione alle particelle ultrafini potrebbe essere associata a circa 280 mila casi di ipertensione, 330 mila casi di diabete e 18 mila casi di demenza in Europa. 


I più vulnerabili

Lo studio ha analizzato i casi segnalati di queste malattie nelle prossimità dell’aeroporto di Amsterdam Schiphol e fornisce la prima stima mai realizzata degli effetti sulla salute legati alle particelle ultrafini derivanti dall’aviazione in Europa. Ma se le particelle ultrafini emesse ad alta quota favoriscono l’effetto serra, particolarmente inquinanti sono le fasi di decollo e atterraggio. Il che significa che i cittadini residenti in un raggio di 5 chilometri da un aeroporto respirano aria che contiene, in media, dalle 3.000 alle 10.000 particelle ultrafini per centimetro quadrato emesse dagli aerei. Poiché, in molte città, esiste una correlazione tra chi vive vicino a un aeroporto (tipicamente zone periferiche o esterne al tessuto urbano della città) e i redditi più bassi, sembrerebbe perpetuato il paradigma per cui sono i più vulnerabili nella società ad essere maggiormente colpiti dall’inquinamento atmosferico.

 


“Vivere vicino un aeroporto può farci ammalare”

Francesco Romizzi, responsabile pubbliche relazioni di Medici per l’Ambiente (ISDE- Italia), spiega: “Vivere vicino a un aeroporto può farti ammalare? La risposta – in modo preoccupante – è sì. Gli aerei, tra i vari inquinanti che emettono, rilasciano anche minuscole particelle associate a malattie polmonari e cardiovascolari. Questa crisi sanitaria – che tocca milioni di cittadini in Italia e  in Europa – è stata ignorata dai politici, che privilegiano la crescita del settore aereo e dei viaggi d’affari senza valutare le esternalità negative e le ricadute che ha sulla salute delle persone, spesso le più povere, e sui servizi sanitari nazionali. Alla luce di queste novità, chiediamo al Governo maggiore responsabilità nell’affrontare questo problema”.

 

Si può ridurre il rischio

Ridurre le emissioni di UFP è possibile: l’utilizzo di carburanti di “migliore qualità” può abbattere le emissioni di questo inquinante fino al 70%. La quantità di UFP emesse dagli aerei, infatti, dipende fortemente dalla composizione chimica dei combustibili impiegati; abbatterne la concentrazione delle componenti più dannose (zolfo e composti aromatici) è possibile grazie all’idrotrattamento, un processo già impiegato da decenni per i ridurre il tenore di zolfo nei carburanti di auto e navi. Un processo, se applicato, potrebbe costare meno di 5 centesimi per litro di carburante. Ma gli standard per i jet fuel non sono mai stati migliorati, nonostante rappresentino strumenti fondamentali per ridurre significativamente l’inquinamento atmosferico nelle vicinanze degli aeroporti.

 

Tra le altre misure capaci di ridurre le UFP e migliorare la qualità dell’aria – oltre alla necessaria riduzione del traffico aereo e al contenimento della crescita esponenziale dell’aviazione –  andrebbero adottate, in prospettiva, tecnologie più pulite che rilasceranno molti meno inquinanti: come ad esempio l’uso su larga scala di carburanti sostenibili per aviazione (Sustainable Aviation Fuel, SAF) e impiegare, non appena saranno disponibili sul mercato nei prossimi anni, aerei a zero emissioni.


La soluzione ad un costo ragionevole

Non capita spesso che un problema allarmante, che colpisce milioni di persone, possa essere ridotto e anche ad un costo ragionevole. I fumi nocivi causati dagli aerei possono essere drasticamente ridotti migliorando la qualità del carburante. I settori del trasporto stradale e marittimo hanno dimostrato che è possibile, facendo questo passaggio già anni fa. Il mondo dell’aviazione invece è rimasto indietro e deve colmare rapidamente questo divario. Il settore aereo si vanta di tecnologia all’avanguardia e aerei cosiddetti efficienti, eppure continua a utilizzare carburanti che hanno un impatto devastante sulla salute di milioni di europei” dichiara Carlo Tritto, Policy Officer per Transport & Environment Italia. 

 

Le UFP fanno parte delle cosiddette “emissioni non di CO2” degli aerei, che includono molti inquinanti tossici, sia gas che particelle, come gli ossidi di azoto o l’anidride solforosa. Sebbene questi inquinanti non rientrino nell’ambito dello studio, anch’essi hanno effetti noti sulla salute che si aggiungono a quelli descritti. Queste emissioni hanno anche un effetto dannoso sul clima, rendendo il contributo dell’aviazione al riscaldamento globale almeno due volte peggiore di quanto comunemente si pensi. Ad esempio, la formazione delle scie chimiche (contrails) – le linee bianche che attraversano il cielo dietro gli aerei – legata alle emissioni di UFP e ha un significativo effetto di riscaldamento climatico.