“Giornate come queste, con temperature che raggiungono i 40 gradi, ci fanno disperdere quantitativi immensi di acqua”. Vito Uricchio per molti anni ha guidato l’Istituto di ricerca sulle acque (Irsa) del Cnr. Oggi ne è un dirigente e osserva da Bari, città in cui vive e lavora, la morsa di caldo e siccità che attanaglia l’Italia.

 

Dottor Uricchio, sarà davvero questa la nuova normalità?

“I miei colleghi climatologi ne sono convinti: andiamo incontro a un continuo aumento delle temperature, il che porterà a una aumento dell’evapotraspirazione”. 

 

Che conseguenze avrà questo sulle risorse idriche dell’Italia?

“Nel nostro Paese ci sono 534 grandi invasi e circa 8000 di dimensioni minori. Una evaporazione di pochi millimetri al giorno sul singolo specchio d’acqua, significa milioni di metri cubi in meno a livello nazionale. Questo è l’unico fenomeno su cui possiamo agire per proteggere le nostre riserve idriche”.

Perché è l’unico?

“Non possiamo certo invertire in pochi anni la crescita delle temperature. Né possiamo far piovere o nevicare di più. Le precipitazioni nevose si sono ridotte del 70% nell’ultimo inverno. E la piovosità è scesa del 40-50%. A questo si sommano temperature altissime per molte settimane di seguito: non solo l’acqua evapora da laghi e fiumi, ma le piante traspirano, e più traspirano più assorbono acqua dal suolo. Dobbiamo utilizzare tutte le possibili strategie per ridurre l’evaporazione e la traspirazione”.

 

Ci fa degli esempi?

“A inizio giugno sulla rivista Nature è stato pubblicato uno studio secondo il quale se si installassero pannelli fotovoltaici sul 10% degli specchi d’acqua del mondo, l’energia elettrica prodotta compenserebbe quella generata oggi con i combustibili fossili. Una dato importante. A cui andrebbe aggiunta la riduzione dell’evaporazione: su una superficie d’acqua all’ombra, a parità di temperatura, l’evaporazione si riduce del 20-30%. Inoltre l’evaporazione raffresca il pannello fotovoltaico facendogli produrre il 5% in più di energia. A tutti questi vantaggi si somma il consumo di suolo, uno dei principali timori legati alle rinnovabili. Un’altra strategia sarebbe quella di conservare l’acqua sotto terra”.


In falde naturali ormai svuotate?

“Certo, si possono sfruttare falde naturali in grado di stoccare acqua, ma anche costruire veri e propri invasi sotterranei. Ha molto più senso conservare l’acqua nel sottosuolo invece che in invasi all’aperto, proprio per i motivi legati alla evaporazione. E’ una cosa che l’Irsa predica dal 1970: nel resto del mondo lo hanno fatto, ci hanno ascoltato persino negli Stati Uniti, ma in Italia non ancora. Tra l’altro, un invaso sotterraneo costa mediamente un quinto rispetto a uno in superficie della stessa capienza. Non c’è consumo di suolo e non c’è il problema dei detriti che si depositano sul fondo e che stanno via via riducendo la capacità di stoccaggio degli invasi”. 

Il vostro Istituto si è candidato come interlocutore del Mite per contribuire a redigere le parti del Pnrr relative alle risorse idriche. Come è andata?

“Ci sono state delle interlocuzioni con il precedente ministro Costa, ma poi i rapporti si sono interrotti. Un contributo alla stesura del Piano dovrebbero però averlo dato i 7 Distretti idrografici in cui è divisa l’Italia. Noi come Irsa lavoriamo con loro”.

 

Aldilà delle grandi opere, cosa si può fare a livello locale o addirittura in famiglia per risparmiare acqua?

“Per esempio recuperare le acque piovane e utilizzarle per scopi meno pregiati: innaffiare il giardino, lavare la macchina. Chi ha un impianto idraulico duale, può usarle lo sciacquone del bagno. Oggi quando tiriamo lo scarico del bagno a Bari, quell’acqua potabile prima di finire nel water ha percorso 300 chilometri, se arriva dal fiume Sele. Davvero uno spreco di risorse. Inoltre raccogliere acqua piovana riduce il rischio legato alle alluvioni”.


E le acque reflue?

“Anche qui l’Istituto ha 30 anni di esperienza. È assurdo perdere queste risorse: tutte le acque reflue depurate possono essere tranquillamente utilizzate per finalità irrigue, le tecnologie sono assolutamente mature. Tutti i depuratori dovrebbero prevedere il riuso delle loro acque.  Invece oggi in Italia il riuso è appena del 11%. Abbiamo un altro 89% da recuperare, centinaia di milioni di metri cubi di acqua per un settore, l’agricoltura, che rappresenta in media il 70% del fabbisogno idrico”.

Alla voce sprechi e perdite?

“Sempre in agricoltura, ci sono zone del Paese dove l’acqua da irrigazione si paga a ettaro e non a consumo. Ma in questo modo non si incoraggia certo il risparmio. È un meccanismo inconcepibile che andrebbe superato. Poi ci sono le famose perdite degli acquedotti…”.

Qual è la situazione nel 2022?

“Sono stati fatti grandi progressi in alcune città, che si attestano intorno al 10% di perdite, un valore quasi fisiologico: da Macerata (10%) a Monza (11%) a Milano (13,5%). Ma non è più accettabile che su 100 litri d’acqua immessi nelle condotte 70 vadano persi. Eppure nel 2022 succede ancora: a Siracusa (67,6%), Belluno (68,1%), Latina (70,1%), Chieti (71,7%)”.

C’è un rimedio possibile?

“Sì ed è anche pratico ed economico: una sorta di guaina che si inserisce nelle tubature vetuste tappando ogni falla. Si possono riparare 900 metri al giorno senza scavare terreni e sfondare strade. E’ una cosa che si potrebbe fare subito”.

 

Cosa manca allora?

“Una politica di gestione delle acque che tenga conto che tutto è connesso”.