“L’hype è passato”. “I fondi di categoria sanguinano”. Il Financial Times nelle ultime settimane non è stato tenero nel titolare le analisi che descrivono il rapporto che si va delineando tra investimenti e sostenibilità. L’acronimo Esg, in primo piano nella comunicazione dei gestori fino a poco tempo fa, oggi è finito in secondo piano, ma non è detto che sia un male.
Cambio di rotta nella comunicazione
Nella lettera annuale al mercato del 2022, Larry Fink aveva identificato il tema Esg come dominante per gli anni a venire, mentre nell’edizione di quest’anno ha deciso di non usare più l’acronimo “in quanto è stato spesso usato come arma”. Considerato che stiamo parlando del ceo di BlackRock, il più grande gestore al mondo, le sue parole sono destinate ad avere un seguito importante.
Secondo uno studio di Barclays, da inizio anno i fondi azionari Esg a livello globale hanno registrato deflussi netti (riscatti meno nuove sottoscrizioni) per 40 miliardi di dollari, con il picco di 14 miliardi ad aprile. Persino l’Europa, da sempre in prima linea in questo campo, nel primo trimestre ha segnato un rosso.
Un concorso di fattori
Il calo di appeal è dovuto a una serie di ragioni, a cominciare dalle performance deludenti (il rally dei mercati negli ultimi mesi è stato guidato dai titoli tecnologici e prima è toccato alle aziende della difesa, che hanno beneficiato della nuova corsa agli armamenti), per proseguire con gli scandali (come l’indagine greenwashing che riguarda Dws) e gli attacchi dei repubblicani statunitensi, che accusa i gestori attenti alla sostenibilità di distogliere l’attenzione dalla loro “mission”, cioè far rendere al massimo il denaro che viene loro affidato.
Pierre-Yves Gauthier, responsabile della strategia e cofondatore di AlphaValue (società di ricerca indipendente con sede a Parigi), ha paragonato il settore alla bolla tecnologica scoppiata nel 2000. “Un quarto di secolo dopo, l’Esg sta vivendo una situazione simile a quella delle dot com”, ha scritto.
L’importanza di evitare fraintendimenti
Altri analisti evidenziano l’ambiguità di alcuni temi legati alla sostenibilità. Come nel caso dei veicoli elettrici, che abbattono le emissioni legate ai trasporti, ma comportano l’estrazione del cobalto per le batterie, che in gran parte avviene nella Repubblica Democratica del Congo, comportando costi sociali enormi.
Secondo il Financial Times, una delle strade per evitare fraintendimenti è puntare sui fondi tematici, che non a caso continuano a proliferare. “Scegliere un tema specifico – energia pulita, magari o tecnologie sanitarie, per fare alcuni esempi – evita di fare confusione”, scrive il giornale della City.
È pur vero, comunque, che nel medio termine i fondi Esg hanno offerto rendimenti quanto meno in linea con quelli del mercato in generale, ma a fronte di una minore volatilità, dovuta alla maggiore attenzione prestata dalle aziende del settore proprio ai rischi Esg.
Un recente studio di Morningstar ha evidenziato che i portafogli con un basso rischio Esg tendono a generare rendimenti corretti per il rischio migliori rispetto ai portafogli con rischi elevati in materia di sostenibilità, oltre a mostrare una maggiore capacità di resistenza durante le crisi finanziarie. Proprio alla luce di queste evidenze, è difficile immaginare che si potrà tornare indietro, come evidenziato da Mariolina Esposito, senior fund manager di Eurizon Sgr. “Gli aspetti Esg ormai rientrano a pieno titolo tra i criteri di valutazione degli asset potenzialmente investibili”. Il che, in una prospettiva di investimento a medio-lungo termine come quella che dovrebbe caratterizzare il retail, sta a indicare che le fasi di ribasso possono essere viste come occasioni per rafforzare le posizioni. “Per quanto riguarda la nostra casa di gestione, l’approccio gestionale dei fondi tematici ha sempre puntato su una accurata selezione dei titoli basata anche sullo screening di sostenibilità, e ciò nonostante non si tratti solo di fondi art. 9, ma anche art.8”, aggiunge l’esperta, con riferimento sia alle soluzioni di risparmio gestito che promuovono esclusivamente le caratteristiche Esg, sia a quelle che possono investire anche in attività di altro tipo. “Per ogni azienda che analizziamo, viene presa in considerazione – insieme alle altre voci – anche il suo approccio in termini ambientali, sociali e di governance”, aggiunge Esposito.
L’Europa corre ai ripari
In questo scenario, nel Vecchio Continente si punta a evitare di gettare il bambino con l’acqua sporca. L’Esma (la Consob europa) ha da poco aggiornato le linee guida sulla denominazione Esg dei fondi comuni di investimenti ed Etf, con l’obiettivo di assicurare una maggiore trasparenza agli investitori con riferimento ai prodotti di investimento sostenibili. In particolare, gli esperti sono intervenuti per garantire che i nomi dei fondi possano rispecchino effettivamente gli obiettivi e la politica di investimento.
Vengono poi individuati i criteri per consentire ai gestori di valutare e utilizzare adeguatamente termini Esg o legati alla sostenibilità nella denominazione dei propri prodotti. Nelle nuove linee guida relative alle etichette da legare agli strumenti del risparmio gestito, la “S” di sociale e la “G” di governance vengono separate dalla “E” di Environment (ambiente), per cui l’acronimo identificherà solo i temi ambientali. Le nuove disposizioni entreranno in vigore tre mesi dopo la pubblicazione delle traduzioni da parte dell’Esma. Per i fondi già esistenti è previsto un periodo transitorio di sei mesi per l’adeguamento.