Iperconnessi e sostenibili. Quanto conta per gli italiani la tecnologia quando si tratta di dare alla propria vita una svolta sostenibile? Poco. Un italiano su 4 ritiene infatti che gli strumenti digitali non siano utili per diventare sostenibili, affrontare i cambiamenti climatici, tagliare gli sprechi. Addirittura, in alcuni casi gli appaiono uno l’opposto dell’altro. “In realtà le differenze ci sono e riguardano l’età. Perché quando si tratta di affrontare il tema della familiarità con la tecnologia, le competenze digitali non sono uguali tra generazioni. E questo vale anche quando si affrontano temi ambientali: la paura allontana le persone dalla tecnologia anche quando fa bene”, precisa subito Stefano Epifani, presidente della Fondazione per la Sostenibilità Digitale autore di una ricerca non a caso intitolata “Generazioni”. Condotta dall’Osservatorio per la Sostenibilità digitale e presentata alla Sapienza Università di Roma, punta proprio a capire la percezione di questi temi in base all’età. Per questo, i ricercatori hanno diviso il campione di cui si dovevano analizzare i comportamenti in Generazione Z (1997-2012); Millennials (1981-1996), Generazione X (1965-1980) e Baby boomers (1946-1964). Esistono perfino gli “insostenibili analogici”.

“Le due parole chiave devono essere alleate”

Su una cosa comunque non ci sono dubbi: sostenibilità e digitale per tutte le generazioni sono le parole chiave per affrontare le sfide sia del presente che del futuro. “Ma poi, basta parlare di quanto la tecnologia impatta sul pianeta e le cose cambiano: guardiamo solo ai dati che ci dicono che il 1,5% delle emissioni di anidride carbonica sono causate dal digitale – spiega Epifani, che invoca un cambio culturale – Invece, è proprio la tecnologia l’alleato essenziale per lo sviluppo sostenibile. Che non è solo una questione ambientale, ma anche sociale e economica. Non ha più senso domandarsi o raccontare quanto una tecnologia consuma o quanto sia l’impatto di una mail sul pianeta, ma chiedersi quanto quella stessa tecnologia, se ben utilizzata, ci consente di risparmiare sulle emissioni. Un altro esempio, il car- sharing, tutti concordi nel ritenere che sia fondamentale per la mobilità sostenibile, ma devo saper usare anche l’app, così per razionalizzare i consumi del riscaldamento a casa dal cellulare. Bisogna far capire che il digitale è un acceleratore di sostenibilità, non concorrenti. Prendiamo la salute e le sconfinate possibilità che arrivano dalla digitalizzazione: poter incontrare il proprio medico da remoto, la telediagnostica. I progressi tecnologici sono tanti, eppure le stesse persone che magari giù usano questi strumenti, su altri fronti si mostrano scettici”.

La ricerca

Ma andiamo con ordine e vediamo i dati della ricerca. Innanzitutto, c’è una netta differenza tra le generazioni. I giovani, ovvero il 48% della Generazione Z e il 33% dei Millennials, usano molto il digitale e si impegnano attivamente per la sostenibilità. Al contrario, le generazioni più mature: il 32% della Generazione X e il 52% dei Baby Boomer, sono per lo più persone che usano poco le tecnologie digitali e non danno molta importanza alla sostenibilità.

Le differenze si accentuano quando viene chiesto agli italiani di esprimersi non solo sull’ambiente in generale, ma sul tema del cambiamento climatico. Circa il 27% pensa che, pur essendo un problema serio, la crisi climatica non richieda un intervento immediato. Nonostante ci si aspetti una maggiore consapevolezza tra i giovani, il 31% dei Millennials e il 27% della Generazione Z credono che ci sia ancora tempo per agire, mentre tra gli over 60 la situazione è diversa: il 67% di questi ritiene infatti il cambiamento climatico una priorità assoluta, mentre il 66% dei Baby Boomer considera urgente non solo il clima, ma, ad esempio, anche il problema dell’inquinamento. Dato questo, che rompe il luogo comune che ad essere più sensibili al tema dell’ambiente siano i giovani e non le generazioni più “anziane”.

Più in generale, indagando il livello di conoscenza dei temi della sostenibilità nei suoi tre aspetti (ambientale, economico e sociale) e messa questa in relazione con la capacità di tradurre questa consapevolezza in azioni concrete, la ricerca mette in evidenza un importante divario tra giovani e persone più “mature”. Il 22% dei più giovani (1 su 5), afferma di conoscere molto bene il concetto di sostenibilità, contro solo l’8% dei più “maturi”.

Inoltre, il 34%, solo 1 su 3 degli appartenenti alla Generazione Z dichiara di non conoscere affatto questo tema, rispetto al 54% dei Baby Boomers. Tuttavia, indipendentemente dall’età, meno di un italiano su tre è in grado di correlare le proprie convinzioni alle conseguenze che da essa derivano.

Gli irriducibili

C’è poi un dato interessante. Chi ha le visioni ambientaliste più radicate tende ad essere più diffidente e spaventato nei confronti della tecnologia e questo, anche quando si considerano i temi specifici come il cambiamento climatico e l’inquinamento. Nelle Generazione X e Baby Boomer l’ambientalismo si accompagna spesso ad un atteggiamento di forte diffidenza verso il mondo digitale. Il 94% dei cittadini tra i 18 e i 60 anni e l’87% degli over 60, sono abbastanza convinti che dal digitale derivino perdite di posti di lavoro, ingiustizia sociale, diseguaglianze sociali, con un italiano su 8 che ne è molto convinto. “Così i sostenitori del biologico in agricoltura, sono i più acerrimi avversari della tecnologia, senza capire che più ricerca e innovazioni utilizzi, più chimica puoi togliere. Se io controllo il consumo digitale dell’acqua, monitoro le perdite”.

Allora cosa dovremmo fare?

“La vera rivoluzione è coniugare il digitale con la sostenibilità economica e sociale – dice ancora Epifani – creare green job, formazione, sviluppare l’economia circolare e l’energia rinnovabile. Se dovessimo agire solo nella base della dimensione ambientale forse si parlerebbe solo di decrescita felice, invece bisogna spiegare con tutti i mezzi possibili quanto sia vantaggioso da ogni punto di vista essere sostenibili. Garantire lo sviluppo economico rispettando l’ambiente, le condizioni di vita delle persone”.

Secondo il presidente della Fondazione per la Sostenibilità Digitale: “Bisogna ripensare l’Agenda 2030 con un programma nuovo, ma gli obiettivi devono restare. Ne va della nostra sopravvivenza. Diciassette obiettivi da raggiungere, il cui ordine non è casuale: il primo è propedeutico al secondo, il secondo al terzo e così via. Se non si vince la povertà, non si può combattere la fame; se non si supera la fame, non si riescono a migliorare le condizioni di salute; se non si lavora sulle condizioni di salute, non si passa all’istruzione; se non si raggiunge un certo grado d’istruzione, la parità di genere resta una chimera”.

“Lasciarsi alle spalle i comportamenti conservativi”

“Da quando è nata la Fondazione cerchiamo di leggere i comportamenti e la consapevolezza delle persone. Perché, se non capisco come percepiscono la tecnologia, come facciamo a comunicare quanto sia importante per la sostenibilità?- sottolinea ancora Stefano Epifani – La mia opinione è che dobbiamo tutti lasciarci alle spalle i comportamenti conservativi e incidere sulle professioni che coniugano digitale con la sostenibilità ambientale. Una fetta importante di quei green jobs nell’agricoltura, nell’industria manifatturiera, i sustainability manager, gli esperti che trovano punti di contatto tra modelli di business e la sostenibilità, i circular designer, ruolo chiave per il riuso dei materiali, la ricerca e sviluppo nei servizi per tutelare la qualità dell’ambiente. Altrimenti tra qualche anno saremo ancora ad arrovellarci su quanto impattano le mail che mandiamo in ufficio, senza chiederci quanto quella mail fa risparmiare. Oppure possiamo stamparla, prendere lo scooter e consegnarla a tutti in ufficio”.