La tradizione è iniziata, la prima mattanza è stata compiuta. Il sangue di 40 globicefali, tra cui almeno quattro esemplari molto giovani, il 4 maggio ha colorato di rosso la baia di Klaksvik nelle Isole Faroe. La tradizionale e storica caccia ai cetacei, chiamata “Grindadrap” o semplicemente “Grind”, osteggiata dagli ambientalisti e difesa strenuamente dalla popolazione locale, anche nel 2024 si è svolta con le solite modalità: barche che accerchiano e spingono i globicefali verso riva e una ventina di persone armate di particolari coltelli che recidono il midollo spinale degli animali, interrompendo il flusso del sangue al cervello e uccidendoli il più velocemente possibile, come richiede la pratica stessa “per non farli soffrire”.
La carne sarà poi suddivisa fra la popolazione che in questo rituale che può svolgersi da maggio fino a settembre celebra, di fatto, una mattanza che un tempo era necessaria per la sopravvivenza nelle Isole Faroe, autonome ma appartenenti al Regno di Danimarca, mentre oggi – nelle Faroe dove tra supermercati e prodotti importati manca ben poco – viene mantenuta come tradizione.
??UPDATE – The killing in Klaksvik, #FaroeIslands is over. Over 30 pilot whales were driven and killed in the first slaughter of 2024. Our crew are on location to document the killed whales, mothers, and calves. Stay tuned for important updates! ??Sea Shepherd #stopthegrind pic.twitter.com/6Dv2iK3Q90
— Sea Shepherd (@seashepherd) May 6, 2024
Per inquadrare questa pratica, che appare decisamente cruenta e per molti ambientalisti “orribile e inutile”, bisogna osservarla dal punto di vista culturale: per le Faroe il “grind” un tempo era forma di sostentamento, atto necessario per ottenere la carne dei cetacei di cui cibarsi, in quelle isole nel mezzo dell’Atlantico dove vivere di sole coltivazioni era complesso. Nel difendere questa tradizione, gli isolani sottolineano come in altre culture (anche europee) si uccidono animali nelle forme più svariate e incontrollate, mentre il Grindadrap è per loro una pratica “umana e veloce” che mira a non far soffrire globicefali e delfini. L’argomento è ovviamente controverso e il “grind” è monitorato da anni da associazioni, come Sea Shepherd o Blue Planet Society, che chiedono la fine dei massacri.
Se anche in questo 2024 abbiamo già assistito alla prima mattanza di 40 globicefali, ci sono però segnali di un possibile declino futuro di questa pratica. Il primo è legato a una questione politica. Da anno è nato un gruppo “Stop the Grind” che raduna più associazioni nel tentativo di fermare i massacri. Di recente un eurodeputato, Francisco Guerreiro, che sostiene la coalizione Stop the Grind, ha presentato una mozione per una risoluzione al Parlamento europeo con uno scopo: chiedere la sospensione dei finanziamenti dell’Ue alle isole Faroe finché la mattanza continuerà. Un’iniziativa che, sostengono ad esempio da Sea Shepherd, potrebbe trovare sempre più valore in vista delle elezioni Europee, motivo per cui invitano i cittadini europei “a sostenere questa iniziativa contattando i tuoi eurodeputati nazionali. Con le imminenti elezioni dell’8-9 giugno, ora è il momento di agire e far sentire la tua voce a favore dei globicefali!”.
In Europa i globicefali sono protetti dalle leggi dell’Ue e del Regno Unito, ma lo status autonomo delle Faroe permette alle isole di stabilire le proprie leggi e regole. L’iniziativa di “blocco dei finanziamenti” secondo le associazioni ambientaliste potrebbe spingere però le Faroe a fermare le uccisioni. Ovviamente per gli isolani si tratta dell’ennesima “interferenza” da parte di altre culture, nonché di una “forma di imperialismo culturale”, che vorrebbe cambiare una tradizione secolare di una piccola popolazione di 50mila abitanti.
In realtà però, si legge sugli stessi giornali delle Faroe, c’è un altro aspetto che indica un possibile declino di questa pratica: una sorta di disaffezione degli stessi isolani, nonché la possibilità che il “Grind” non regga nei passaggi generazionali. Per organizzare e portare avanti la mattanza c’è bisogno del lavoro degli iscritti al Grindamannafelagið, l’associazione di balenieri che è responsabile (e sono gli unici a poterlo fare) del Grind. Il gruppo conta circa mille iscritti ma come dichiarato dai vertici stessi negli ultimi tempi solo 100 associati hanno pagato e saldato le loro quote. Un segnale che indica meno fondi e meno impegno da parte degli stessi cultori della tradizione.
Preoccupato per la mancanza di sostegno il presidente dell’associazione Esmar Joensen, in una recente lettera di fine aprile, ha ricordato agli isolani la necessità di difendere e proteggere, anche per le generazioni future, i valori della loro mattanza. Di conseguenza l’associazione sta pensando di sviluppare un film o un documentario per insegnare il Grind ai bambini. Altrimenti, scrive lo stesso Joensen, “non passeranno molte generazioni prima che smetteremo di uccidere le balene”. La stessa idea di girare un documentario per insegnare il massacro dei cetacei ai bambini ha ovviamente suscitato forti polemiche, ricordando anche la pericolosità di mostrare ai più piccoli tale brutalità, che però per le Faroe è appunto sinonimo di cultura.
Se pressioni esterne e disaffezione (economica) fra gli iscritti non dovessero essere sufficienti nel tempo a porre freno a questa pratica, un segnale importante in futuro potrebbe però fornirlo la stessa natura. Sui globicefali (o pilot whale) c’è ancora una forte carenza di dati a livello internazionale: la specie non è considerata in pericolo di estinzione ma, anche a causa della carenza di set di dati, è complesso stabilirne lo status attuale (anche le liste Iucn risultano non aggiornate). Quando nel 2022 si era arrivati a uccidere durante la stagione di caccia quasi 1400 cetacei, dopo le proteste della comunità internazionale le autorità delle Faroe avevano deciso di limitare le uccisioni a 500 esemplari.
Secondo l’associazione Ocean Care, in media vengono uccisi dagli isolani circa 700 globicefali all’anno. Questi numeri, uniti a quelli di un generale declino della fauna selvatica (crollata del 69% dal 1970) e in particolare delle specie marine, sono oggi diventati oggetto di preoccupazione fra gli studiosi sul fatto che presto anche questi cetacei potrebbero rientrare in categorie minacciate di estinzione. Il punto dunque è: per quanto tempo questa pratica che alle Faroe definiscono “sostenibile” potrà continuare in un possibile contesto di maggiore vulnerabilità della specie?
Per Blue Planet Society, non molto. Secondo l’associazione siamo infatti “in piena crisi di biodiversità e climatica e questa piccola isola autonoma pensa che sia giusto uccidere questi animali nel modo più orribilmente crudele possibile. Se permettiamo tali stravaganze, laddove un paese ricco può fare questo a creature bellissime e intelligenti, chiaramente non vinceremo mai la battaglia contro il cambiamento climatico e la crisi della biodiversità”.