C’è la mappa per ripristinare il tesoro. Quest’estate, a giugno, l’Europa dopo un lunghissimo e incerto iter ha approvato la Nature Restoration Law, la legge che impone di ripristinare almeno il 20% delle aree terrestri e marine dell’Ue entro il 2030.

Significa che, in maniera vincolante, i vari Paesi devono attuare misure per recuperare i nostri tesori naturali degradati: gli ecosistemi terrestri, costieri e d’acqua dolce, forestali, agricoli e urbani, comprese le zone umide, le praterie, le foreste, i fiumi e i laghi. Per gli habitat ritenuti in “cattive condizioni” gli Stati dovranno attuare misure per ripristinarne “almeno il 30% entro il 2030, almeno il 60% entro il 2040 e almeno il 90% entro il 2050”.

Per riuscire in questa impresa non semplice è però fondamentale sapersi orientare, capire come e dove – già dal 2024 – attuare politiche di ripresa per la natura. Uno strumento utile per questa sfida lo mette ora a disposizione l’Ispra: l’Atlante ambientale italiano è stato infatti aggiornato e indica tutti quegli ecosistemi urbani che avranno bisogno di essere curati.

Il 40% dei comuni urbani e periurbani necessita di interventi di ripristino della natura. Dall’Atlante dei dati ambientali 2024, presentato a Torino durante “Terra Madre” e oggi comodamente visitabile anche online, emerge un dato interessante e preoccupante: quasi un terzo (28%) di tutti i comuni italiani sono obbligati a ripristinare le proprie aree urbane a partire dal 2031. Il dato diventa ancor più significativo se si estende il discorso anche ai comuni periurbani (che sono l’11,6%) del totale: a questo punto sarebbero oltre il 40% i territori che necessitano una “restaurazione” naturale.

Le aree rosse

Grazie a mappe intuitive viene mostrato uno Stivale dove campeggiano aree rosse, quelle con “nuclei urbani densi” e “grandi centri urbani” dove è necessario intervenire: la maggior parte si trova in Puglia, lungo la dorsale tirrenica fra Lazio e Campania, in Sicilia, in gran parte della Pianura Padana e in Romagna.

Qui andranno concentrati gli sforzi maggiori per il ripristino degli habitat, quelli all’interno del Piano nazionale di ripristino che dovrà tracciare il governo, come ci chiede l’Europa. Ue che – indica il regolamento – impone inoltre che non ci sia nessuna perdita netta di spazi verdi e di copertura arborea nelle aree urbane fino al 2030 e un costante aumento della loro superficie totale a partire dal 2031.

Gli alberi il nostro futuro

Nel restituirci la mappa, l’Ispra indica l’estrema necessità di alberi per gli ecosistemi urbani. La copertura arborea per esempio oggi “solo per il 2,3% è collocata in ambito urbano”. Inoltre, specificano i ricercatori, “allo stato attuale il 23,3% degli ecosistemi risentono di una frammentazione elevata, mentre quasi un quinto (17,5%) è a frammentazione molto elevata. Nel 74% degli habitat mappati da Carta della Natura, i sistemi ambientali in cui le attività antropiche risultano predominanti, come le coltivazioni e le aree costruite, sono più della metà del territorio nazionale (52%), mentre tra gli ambienti a maggiore naturalità risultano maggioritari gli habitat forestali e prativi (44%). La restante parte del mosaico ambientale (4%) è costituita da ambienti costieri, umidi e rocciosi”.

Gli impatti della crisi del clima

Se è fondamentale la mappa che ci fornisce un contesto sullo stato attuale dei comuni urbani secondo i dettami della Nature Restoration Law, altrettanto lo sono però anche quelle che ci offrono uno sguardo sugli impatti che possono subire determinati territori, così come sul fatto che molte aree non hanno piani concreti per il futuro.

Ispra ricorda per esempio come la crisi del clima ha portato ormai l’anomalia di temperatura media in Italia intorno a +1,14 gradi e gli ultimi dati disponibili ci ricordano come il 2023 sia stato il secondo anno più caldo della serie dal 1961.

Le precipitazioni

C’è poi una mappa, relativa alle precipitazioni, che ci ricorda come quelle cumulate nel 2023 “sono state complessivamente inferiori di circa il 4% rispetto al trentennio di riferimento 1991-2020” ed è marcata la siccità in aree quali Sardegna, Sicilia e in generale il Sud. A questa si può affiancare un’altra fotografia rilevante: la carta della pericolosità idraulica che evidenzia le aree più critiche, aree potenzialmente inondabili che in uno scenario medio riguardano in Italia l’11,8% delle famiglie, il 13,4 % di imprese e il 16,5% di beni culturali “con conseguente impatto economico e sociale”. Fra queste zone, osservando le cartine, si osservano tutte le fragilità del Nord-est, della Romagna e anche della Calabria.

Rischi idraulici

Ripensando a quanto successo in Emilia-Romagna di recente, con alluvioni intense e devastanti che in meno di un anno e mezzo hanno colpito per ben due volte, Ispra ricorda che “la progressiva impermeabilizzazione del suolo e la riduzione delle superfici di espansione delle piene acuiscono le conseguenze dei fenomeni alluvionali. Il consumo di suolo continua, infatti, a crescere, con una progressiva diminuzione della superficie destinata all’uso agricolo, perdita di biodiversità e aumento del degrado del suolo, con conseguenze che devono essere affrontate attraverso incisive azioni di ripristino”.

Piani di azione e strategie

Infine, soprattutto in chiave adattamento e piani (compresi quelli per la Nature Restoration Law) necessari a preparaci per il futuro, l’Istituto mostra una mappa dell’Italia secondo le “principali strategie di adattamento locali e regionali e dei Piani di Azione per l’Energia Sostenibile ed il Clima” messe in campo finora. Abbastanza desolante il riscontro: l’Italia è letteralmente divisa in due, con il Nord (soprattutto l’ovest) più preparato e dotato di piani d’azione e il Centro-Sud ancora privo delle strategie necessarie.

La buona notizia però è che, anche grazie al lavoro di Ispra – che ha accumulato e organizzato una lunga serie di dati – ora abbiamo sempre più chiare le informazioni necessarie per intervenire e proteggere i nostri tesori, dalle aree naturali sino alle città.