L’Italia che innova è pioniera di un nuovo modello culturale e ambientale che collega l’Europa con le antiche saggezze dei Popoli Indigeni. Popoli che sono fondamentali per affrontare la crisi climatica globale, anche perché detengono e proteggono l’85% della biodiversità a livello mondiale. E dunque parlare di sostenibilità senza il “fattore indigeno” non ha assolutamente senso, perché sarebbe come parlare di natura e impatto ambientale senza le persone che se ne prendono cura.
Per comprendere tale ponte è indispensabile conoscere la storia della relazione geopolitica tra Europa e indigeni e non, invece, girarsi dall’altra rispetto al passato coloniale di molte nazioni europee.
Come potremmo creare un ponte da una parte tra popoli che vivono uno stigma e lacune volontarie nei programmi scolastici, assenza di consapevolezza, e dall’altra tra i popoli che ne portano le lancinanti ferite?
Come possiamo creare una coscienza dell’umanità sulla questione climatica, se non siamo in grado di formarla questa coscienza? E soprattutto perché dovremmo formarla e formarla in fretta? È letteralmente una questione di vita o di morte sul Pianeta Terra (e non “del” Pianeta Terra).
La crisi climatica è in corso. E nessuno di noi individualmente può fermarla. È una questione globale, che richiede per definizione un’azione collettiva planetaria, che dovremmo svolgere prima del collasso climatico.
Per la precisione oggi abbiamo 4 anni e 313 giorni, per il climate clock, orologio variabile in base ai nostri modelli e comportamenti, messi in campo secondo coscienza.
Possiamo migliorare? Certo. Come Europa, ad esempio, abbiamo un passato di colonizzazioni e dominazioni culturali, di cui non parliamo troppo, neanche a scuola, perché è fatto di genocidi ed ingiustizie.
Come Italia abbiamo anche la memoria dormiente del pensiero sulla fonte della civilizzazione dell’umanità e allo stesso tempo una pericolosa e gioiosa illusione illuminista.
Se andate al Museo di Vatolla, in provincia di Salerno, nel nostro nel Sud Italia, scoprirete ad esempio il capolavoro di Giambattista Vico (1688-1744) “La Scienza Nuova”. E quindi dove risiede, secondo il grande pensatore, la civilizzazione dell’umanità? Nella storia dei popoli che comprende per tutti un passaggio da essere istintivo ad essere civilizzato ed è un passaggio culturale e niente affatto naturale..
Radici e futuro.
Al centro, la scienza, la scoperta, la conoscenza, l’esplorazione per il bene e una mentalità sostenibile prima di azioni fintamente sostenibili. Su queste basi è nata Smily Academy, l’Accademia indigena – con sede in India, Italia, Brasile e Ghana -, che studia la sostenibilità dentro i luoghi iconici delle popolazioni indigene e in quelli affetti dalla crisi climatica, di cui naturalmente è vittima anche l’Italia.
Il tema è che da questa parte del mondo si produce abbastanza inquinamento e si procura abbastanza ingiustizia anche per l’altra parte del mondo. Chi inquina di meno, oggi subisce più danni dalla crisi climatica, come dimostrano ad esempio le inondazioni ad Assam, in India, dove ha sede una delle branch di Smily Academy, oltre all’Italia appunto.
Il viaggio nei luoghi e nel tempo della sostenibilità passa dalla profonda conoscenza della sua e quindi della nostra storia.
La parola stessa “sostenibilità” è oggi abusata ed è soprattutto una parola del passato, perché ci limitiamo ad usarne una definizione del 1987 a 3 dimensioni (economica, sociale ed ambientale) dimenticando la quarta dimensione su cui Smily Academy (acronimo di Sustainable Mindset and Inner Level for Youth – cioè mentalità sostenibile e dimensione interiore per i giovani) è stata fondata, tra Europa e Popoli Indigeni.
La quarta dimensione della sostenibilità è quella invisibile: la dimensione interiore, quella legata all’anima, alla mentalità, alla connessione con noi stessi, gli altri e la natura.
Riusciremo a renderla visibile? No. Riusciremo a prenderne coscienza piena, capendo che è quel filo invisibile l’unico a legarci alla nostra storia, al nostro presente e al futuro che scriveremo? Dipende. Dipende da come gestiremo educazione e conseguente azione climatica, tenendo dentro tutte le 4 dimensioni della sostenibilità in un processo trasformativo cruciale che passa dal fare all’essere e dall’impresa alla eco-impresa.
I popoli indigeni del Forum mondiale sulla giustizia climatica che rappresenta 400 milioni di persone, hanno nominato nel 2023 un’europea a capo della cooperazione strategica internazionale. Fatto inedito. E noi qui? Ce la faremo a fare cose anti-storiche, profondamente inclusive, per il bene del futuro nostro e delle giovani generazioni tanto disorientate? Riusciremo a cambiare la nostra mentalità predatoria ed estrattiva, facendo pace con noi stessi, prima di dirci sostenibili o addirittura attivisti ambientali? O ci faremo testimoni del “divide et impera” come stiamo assistendo nella corsa sciagurata di Donald Trump che nel non poter convincere, decide di confonderci? Dipende realmente da ciascuno di noi e da tutti.
Claudia Laricchia, Presidente e cofondatrice di Smily Academy e docente su sostenibilità e popolazioni indigene per lo European Institute of Innovation for Sustainability EIIS e per la Rome Business School.
Roberto Reali, Consiglio Nazionale delle Ricerche; Dottorato di ricerca in Storia dell’Europa, Università “La Sapienza” di Roma e Professore all’Università di Tor Vergata di Roma.