John Kerry, primo inviato speciale per il clima della presidenza degli Stati Uniti, si è unito al coro degli scettici: le fonti rinnovabili di energia sono l’unica soluzione per rallentare la crisi climatica, al contrario delle tecniche di cattura della CO2, o carbon dioxide removal (Cdr) per dirla in inglese. Non è il solo a pensarla così. Diversi climatologi di fama mondiale credono che non ci sia il tempo materiale per puntare ad un sistema del genere che ripari i danni togliendo i gas serra dall’atmosfera. È un metodo ancora troppo costoso. Potrebbero forse dare dei risultati fra anni mentre fin da subito fornirebbe un alibi per proseguire ad inquinare quando ci avviciniamo pericolosamente alla soglia dell’irreparabile.
“Alcuni scienziati credono sia possibile che si arrivi a superare nella temperatura globale media il limite di 1,5 gradi sopra i livelli preindustriali”, ha spiegato Kerry al quotidiano britannico Guardian. Secondo lui l’idea di pensare di recuperare mettendo le lancette dell’orologio indietro grazie alla cattura della CO2 sarebbe pericolosa. “Potremmo essere già oggi troppo vicini a un punto di non ritorno, all’irreversibilità”. Insomma, non c’è tempo e quindi non ci sono scuse per non abbattere subito le emissioni di gas serra. Con buona pace di chi invece, in Italia come all’estero, crede che il Cdr sia l’unica vera panacea.
Aveva detto la medesima cosa, anche se con parole diverse, Sonia Isabelle Seneviratne quando l’abbiamo incontrata a maggio dello scorso anno nel suo ufficio al Politecnico di Zurigo (Eth). Classe 1974, è una delle esperte elvetiche di maggior rilievo in fatto di crisi climatica. Professoressa all’Institute for Atmospheric and Climate Science, ha cofirmato tre diversi rapporti del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc) istituito dalle stesse Nazioni Unite. Uno dei quali, quello presentato alla Cop 21, stabiliva che un innalzamento della temperatura di un grado e mezzo era il massimo che ci saremmo potuti permettere.
“Dobbiamo tagliare le emissioni del 50% entro il 2030”, aveva spiegato. “Catturare la CO2 è costoso e non abbiamo le strutture per farlo su larga scala, piantare alberi va bene ma è un palliativo se si continuano a sfruttare i combustibili fossili. La strada più immediata e percorribile è quella delle rinnovabili. Ci sono dei settori che non possono ridurre a zero la CO2, bisogna però tenere presente che alla fine solo il 10% di quella che immettiamo oggi nell’atmosfera è sostenibile. Con questo non voglio dire che sviluppare tecnologie per la cattura della CO2 sia inutile, tutt’altro, ma per raggiungere gli obiettivi del 2030 dubito possano tornarci utili visto il poco tempo a disposizione”.
Già, il tempo. La questione è tutta qui. Lo si racconta bene nel documentario Superare i limiti su Netflix, che ha per protagonisti fra gli altri il divulgatore inglese David Attenborough ma soprattutto il climatologo svedese Johan Rockström. Ha individuato le nove aree che garantiscono l’equilibrio del nostro pianeta. In alcune, compromesse dall’azione dell’uomo, ci siamo spinti così avanti da avvicinarci al punto di non ritorno.
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Ma è una argomentazione che in certi ambienti non fa breccia. Ad Esbjerg, sulle coste danesi, a marzo di quest’anno hanno inaugurato l’apertura del primo sito di stoccaggio della CO2. Hanno preso ad immetterla in giacimento esaurito di petrolio nel mare del Nord. Ne potrà contenere fino a otto milioni di tonnellate l’anno, grosso modo il 10% dei gas serra prodotti da un Paese come la Danimarca. O almeno questo è l’obiettivo a partire dal 2030 e per allora dovremmo invece aver ridotto della metà le emissioni.
Dietro il progetto, chiamato Greensand, c’è il colosso petrolchimico Ineos. In pratica si toglie anidride carbonica dall’atmosfera, la si trasforma in gas liquido, poi la si solidifica, infine viene immagazzinata sotto terra lì dove un tempo c’erano giacimenti di petrolio. La CO2 in Danimarca è arrivata dal Belgio ed è stata trasportata via terra. Sistema del tutto provvisorio e anche inquinante. In futuro si dovrebbero sfruttare le navi per il trasporto benché anche loro siano mosse da motori diesel.
“Metà della anidride carbonica dovrà essere tolta dall’atmosfera se vogliamo raggiungere gli obiettivi di neutralità carbonica del 2050, non basta ridurre le emissioni”, aveva sottolineato Brian Gilvary, a capo della Ineos Energy, in quell’occasione. “Io non credo che potremo fare a meno dei combustibili fossili, non nei prossimi decenni. Il progetto Greensand è la dimostrazione che c’è un’alternativa ai crediti di carbonio”.
Il sistema dei crediti di carbonio è un tassello importante in questa storia. Oggi permette di continuare ad emettere gas serra in cambio dell’acquisto di un titolo che garantisca la sua compensazione con progetti legati alla loro riduzione come ad esempio il piantare alberi. Attualmente un credito di carbonio in Europa, che equivale alla possibilità di emettere una tonnellata di anidride carbonica o altri gas, costa circa 92 euro. Alla Ineos sono convinti che il progetto Greensand possa trasformarsi in un mercato lucroso con il progressivo abbattimento dei costi dell’immagazzinamento della CO2 e l’ottimizzazione dei processi. Parliamo di futuro, dato che oggi il costo della cattura del carbonio supera di gran lunga i 92 euro a tonnellata.
Anche Eni è della partita con il progetto Sleipner in Norvegia, fra i primi in assoluto dedicato allo stoccaggio geologico della CO2 per fini esclusivamente ambientali. Secondo il Global Ccs Institute, dove Ccs è acronimo di carbon capture and storage, ci sono 197 progetti a livello globale, ma la stragrande maggioranza inietta C02 nel sottosuolo per aumentare l’efficienza nell’estrazione del petrolio usando la tecnica chiamata Enhanced Oil Recovery (Eor). In pratica si usa anidride carbonica e acqua per spingere in alto il petrolio. Solo nove sarebbero i progetti che nati per lo stoccaggio geologico. Tornando ad Eni, sul tavolo avrebbe anche un altro progetto nel Regno Unito, HyNet North West, e uno al largo di Ravenna, lungo la costa romagnola.
“Questo è un grande momento per la transizione verde dell’Europa e per la nostra industria della tecnologia pulita”, ha commentato Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, parlando dell’iniziativa anglo- danese Greensand. “State dimostrando che si può fare, che possiamo far crescere il nostro settore attraverso l’innovazione e la concorrenza e, allo stesso tempo, rimuovere le emissioni di carbonio dall’atmosfera attraverso l’ingegno e la cooperazione”. Insomma, coniugare le vecchie logiche di mercato con quelle nuove per salvaguardare l’ambiente. Anche Sir David King, caccademico originario del Sud Africa ma britannico di passaporto, ex capo del comitato scientifico del governo inglese e uno degli artefici degli Accordi di Parigi che nel 2015 stabilirono come obiettivo l’evitare l’innalzamento delle temperature oltre il grado e mezzo, non è contrario alla cattura dei gas serra. Esattamente il punto sul quale invece Kerry non è d’accordo.
“Parte della sfida che stiamo affrontando in questo momento è che i Paesi che hanno delle tecnologie a loro disposizione non le stanno implementando al ritmo che dovrebbero essere”, ha concluso Kerry. “Fatih Birol (direttore esecutivo dell’Agenzia internazionale per l’energia, Iea, ndr.) ha chiarito da tempo che tutto ciò che serve per raggiungere l’obiettivo 2030 di riduzione del 45% delle emissioni a livello globale è aumentare gli impianti di energie rinnovabile, e questo non sta accadendo. C’è una resistenza in questo momento che vedo da più parti a fare ciò che sappiamo di dover fare”. E ancora: “Quindi ora la domanda è: la cattura e lo stoccaggio del carbonio possò essere impiegata su una scala che renda possibile raggiungere i nostri obiettivi?”
Uno studio sempre di Iea ha stimato che le tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio saranno imprescindibili per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione a lungo termine. Contribuiranno a circa il 12% della riduzione del totale delle emissioni ma solo entro il 2050. Troppo poco e troppo tardi, stando al parere di Rockström, Seneviratne e ora anche Kerry.