Pensata per resistere a tutto, attacco nucleare incluso, la base militare sotterranea di Zeljava, oggi al confine tra Croazia e Bosnia Erzegovina, è in realtà durata soltanto fino alla fine della Jugoslavia. Oggi, a qualche decennio di distanza, i suoi corridoi carbonizzati, gli aerei in rovina all’esterno in quello che era uno dei più grandi aeroporti militari d’Europa, sono meta privilegiata per turisti informati, che al ritmo medio di 150mila visitatori l’anno si dipanano tra botole e piste.
Al culmine della sua gloria, la base e i suoi chilometri tunnel ospitavano decine di Mig-21 di fabbricazione sovietica, essere autosufficienti in materia di acqua ed elettricità, il tutto sotto la protezione di 4 immense porte di cemento, del peso di 100 tonnellate cadauna. All’aperto, 5 piste di decollio-atterraggio che intrecciano la frontiera tra i due stati, oggi indipendenti e a quel tempo confederati.
Il meglio della tecnologia militare e civile dell’epoca
“Tutto era, per l’epoca, all’ultimo grido – racconta all’agenzia di stampa France Presse Mirsad Fazlic, un ex pilota impiegato alla base per un decennio negli anni Ottanta del secolo scorso. “Era la la combinazione delle migliori tecnologie militare e civile disponibili”.
Durante le guerre degli anni Novanta tutto è stato distrutto. “Tutto quello che c’era è stato bruciato – racconta l’ex aviere -, soltanto i tunnel e i muri hanno resistito”.
Nei primi anni successivi tutto è rimasto là, abbandonato alla sua rovina, e visitato di tanto in tanto da qualche sparuto turista in cerca di reliquie dell’ex Jugoslavia.
Quel docufilm sul “programma spaziale segreto” Usa-Belgrado
Fino al 2016, grazie a un film molto particolare, Houston, abbiamo un problema: un’opera del regista sloveno Ziga Virc. Un’opera, tra docufilm e fantapolitca, nella quale Virc racconta il mito – per alcuni tutt’altro che fittizio – secondo cui gli americani finanziarono in gran segreto la federazione del maresciallo Tito in cambio della cessione del programma spaziale jugoslavo. Opera ambientata proprio nell’ex base di Zeljava, e diventata cult-movie e per questo capace di attirare un congruo numero di persone tra le sue pareti arrugginite.
Gli amministratori locali però sperano, e pensano di poter fare ancora meglio. Situata a pochi chilometri dal Parco nazionale di Plitvice, che è una delle massime attrazioni lacustri-montane della Croazia centrale, un’area famosa per i 16 laghi limitrofi e collegati l’uno con l’altro da una spettacolare rete di cascate capace di attirare centinaia di migliaia di turisti ogni anno. Convogliarne una parte a scoprire i segreti della base e del suo periodo non sembra impresa disperata. Zeljava, che ha già ospitato tra l’altro corse automobilistiche, potrebbe secondo loro potrebbe offrire saloni per eventi e feste, ma anche ospitare delle banche dati e naturalmente un museo della guerra fredda.
Museo o non museo, questo il dilemma
“E’ una meraviglia dell’ingegneria, ed è incredibile che tutto sua rimasto come congelato nel tempo”, dice Angelo Virag, un fotografo di Zagabria, che acompagna tra i tunnel un cugino che vive a Perth, Australia. Questi si meraviglia a sua volta di quella “infrastruttura brutale, autentica, intatta dopo 30 anni”. Arriva da molto più vicino Hamdija Mesic, che abita a Bihac, in Bosnia, a pochi chilometri dalla base. Mesic ama questo luogo “abbandonato agli umori del tempo, e che non ha eguali altrove”, e, da amante dell’aviazione, spera che il tutto possa essere restituito a piloti e jet. Spera che almeno le due piste situate nel territorio del suo Paese possano essere ripristinate e trasformate in aeroporto per piloti amatoriali. “Mi piace proprio per quello che è – dice infine Maria Moreno, 33enne designer di interni spagnola, che non sembra apprezzare l’idea di un museo a tutti gli effetti – perché non ci sono pannelli che ovunque ti indicano da che parte andare o cosa guardare. Trasformarla (del tutto) in sito turistico la priverebbe del suo fascino”