Progettati per durare e costruiti, possibilmente, con materiali riciclati. Dagli smartphone agli elettrodomestici, dalla moda ai materiali edili, fino ai mobili o agli pneumatici. Sembra un’utopia in un mondo nel quale per anni si sono prodotti, consumati e poi buttati apparecchi spesso similissimi fra loro stagione dopo stagione. Eppure è proprio quello che vorrebbe fare la Commissione europea, con la Sustainable Product Policy initiative (Spi). Mira a spingere ad avere un mercato di apparecchi con un ciclo di vita più lungo e pensati fin dall’inizio per essere poi riciclati.
Obsolescenza programmata, ecco cos’è l’indice di riparabilità
“Senza un intervento da parte della politica, entro il 2050 la popolazione mondiale consumerà risorse a un tasso tre volte superiore a quello che la terra può offrire”, spiegano dalla Commessione. “Si prevede che il consumo globale di materiali come biomassa, combustibili fossili, metalli e minerali raddoppierà entro il 2060, mentre la produzione annuale di rifiuti crescerà del 70% entro il 2050. Produzione, consumo e rifiuti legati ai dispositivi immessi sul mercato sono responsabili per circa il 40% delle emissioni globali di gas serra”.
Di qui Sustainable Product Policy initiative che parte da alcune costatazioni. In primo luogo, l’economia detta lineare dove si produce, si consuma e poi si getta, continua ad essere dominante perché non ci sono incentivi sufficienti per spingere ad una maggiore sostenibilità dei prodotti. Nel corso degli ultimi anni abbiamo tutti notato che la durata media di vita di molti prodotti è diventata più breve. Si rompono facilmente, molti non possono essere riparati se non spendendo cifre troppo alte né sono riciclabili se non in minima parte. In secondo luogo, in Europa le leggi affrontano solo in parte il tema della sostenibilità dei prodotti. C’è ovviamente l’etichetta energetica che indica consumi ed efficienza, ma nulla di paragonabile su riparabilità e riciclabilità. E questo non premette alle persone di poter scegliere con sicurezza gli apparecchi che hanno un impatto ambientale minore.
Non è la prima iniziativa che va in questa direzione. La Francia ha fatto da apripista introducendo a gennaio del 2021 l’Indice di riparabilità, un punteggio da 1 a 10 dato a cinque categorie di dispositivi per indicare la facilità con la quale si possono sostituire le parti che nel tempo potrebbero smettere di funzionare aumentando così il tempo di vita del dispositivo stesso. Strumento contro l’obsolescenza, pianificata o meno, che nel 2024 dovrebbe confluire in una legge più ampia per sostenere la nuova economia circolare. La Commissione europea vuole arrivare ad un sistema di norme organiche che vanno nella medesima direzione entro uno o due anni.
“In ogni tipo di processo legislativo c’è chi tenta di influenzare cambiando proprio i dettagli”, racconta Ioana Popescu della Ecos Standard, una Ong internazionale con sede a Bruxelles attiva nel campo degli standard tecnici, politiche e leggi che riguardano l’ambiente. “Nel caso della Spi ora si tratta di mettere a punto una metodologia per stabilire la sostenibilità per le varie categorie di prodotto. Un po’ come è successo per l’etichetta energetica che ha richiesto diversi anni e che viene implementata gradualmente e purtroppo non in maniera omogenea, nel senso che per alcune tipologie di dispositivi le norme sono molto più elastiche che per altri. In questo caso ci troviamo davanti ad un progetto che potrebbe portare ad un cambiamento radicale nel design stesso della merce immessa sul mercato. Dall’esperienza passata, sappiamo che in altri casi ci sono stato ritardi e annacquamenti dell’idea originale. Quindi siamo moderatamente scettici sul possibile risultato finale. Basti pensare alla moda. Oggi solo l’1% dei tessili viene riciclato. Per questo l’indice di durabilità è così importante. Bisogna evitare che le persone siano costrette in primo luogo a buttare i capi perché si rompono”.
Bisegna quindi vedere nei dettagli cosa verrà approvato. Se l’Spi interesserà tutti i gruppi di prodotti pertinenti, il suo impatto si rifletterà ben oltre i confini dell’Europa. L’ambizione dichiarata è quella di migliorare la sostenibilità delle catene del valore che sono globali. I requisiti minimi si applicheranno quindi a qualsiasi prodotto che entrerà nel mercato dell’Unione europea e questo significa che le multinazionali che desiderano operare da noi, anche attraverso le vendite online, dovranno garantire la conformità all’Spi. Considerando il peso dell’Europa, è quindi probabile che la Sustainable Product Policy initiative avrà effetti a cascata sul modo in cui i prodotti sono progettati a livello mondiale. Ecco perché il confronto sui requisiti minimi, sul numero di categorie interessate e sui tempi di applicazione, rischia di diventare un campo di battaglia.