Betulla o platano, pioppo o quercia? Per molti di noi distinguere gli alberi – a parte quelli fortemente iconici, come l’abete natalizio – può essere un compito molto arduo. Il problema ha spesso radici lontane, che risalgono ai tempi della scuola. Uno studio inglese, condotto dall’Università di Leeds, mostra che nel Regno Unito (ma può valere anche per altri Paesi), c’è un ampio buco nell’insegnamento della botanica. Questa mancanza è molto evidente non solo a scuola ma anche all’università, dove il numero dei botanici è bassissimo se comparato con quello degli studenti di altre discipline biologiche. La ricerca, pubblicata su Ecology and Evolution, mette in luce un problema presente anche In Italia, anche se per alcuni aspetti ancora attenuato.
Disconnessi dalla natura
Gli scienziati hanno esaminato una vasta quantità di dati statistici sull’insegnamento della botanica nelle scuole superiori e all’università. L’analisi ha evidenziato che “nel Regno Unito questa disciplina è oggi praticamente assente”. A scuola si studiano principalmente la fotosintesi, il ciclo dell’energia all’interno delle comunità vegetali, l’anatomia e la riproduzione delle piante. Tuttavia non si dedica attenzione ad insegnare come identificarle e classificarle – una branca centrale della botanica. In ambito accademico, poi, i dati del periodo dal 2007 al 2019 parlano da soli: nel Regno Unito c’è un solo studente di botanica ogni 185 studenti iscritti alle altre discipline biologiche.
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Le ragioni della disconnessione
“Le radici del fenomeno non sono sicuramente recenti”, sottolinea Renato Bruni, Direttore dell’Orto Botanico di Parma, “uno studio americano della fine degli anni ’90 aveva documentato questo trend, in atto già allora da tempo”. Alla base del vuoto didattico c’è un problema principalmente culturale. “Da tempo e oggi ancora di più si tende a proporre una formazione fortemente professionalizzante, che produca risultati immediati, generando competenze che trovano subito applicazione”, commenta Bruni, “mentre lo studio delle piante viene considerato – erroneamente – un fatto culturale, con una bassa presa pratica”.
Un gap non solo culturale
Ma non è così. “Ricordiamo che ogni anno – aggiunge Bruni – si scoprono globalmente più di 100 nuove specie vegetali”. Non conoscendo le piante, spiegano i ricercatori inglesi, si perdono abilità e competenze oggi sempre più utili in pratica, per la gestione di temi e problemi legati all’ambiente, ai cambiamenti climatici, all’alimentazione e alla gestione del territorio. Le applicazioni sono numerose. Pensiamo a cittadini e scienziati che non sanno riconoscere le specie vegetali e che, a causa di questo gap, contribuiscono alla proliferazione di specie aliene invasive anziché contrastarne la diffusione. A livello di ricerca, poi, ci possono essere conseguenze molto rilevanti. “A volte può capitare che gli autori di pubblicazioni scientifiche che trattano particolari alberi e piante non classifichino bene le specie considerate”, spiega Bruni, “a causa della mancanza di una formazione su questo, producendo un errore che si propagherà nel tempo e nello spazio, dato che tutti i ricercatori che si baseranno e citeranno quelle pubblicazioni riporteranno quell’imprecisione”.
La situazione in Italia
Nel nostro paese, però, la situazione potrebbe essere leggermente migliore rispetto a quella del Regno Unito, secondo l’esperto. “Bisogna pensare che nel mondo anglosassone il sistema scolastico e quello universitario sono diversi dai nostri”, commenta Bruni. “C’è un più ampio numero di istituti privati, anche universitari, elemento che può comportare una maggiore libertà nei programmi e anche nella scelta delle figure professionali che possono insegnare determinate materie”. Ma anche da noi c’è già qualche problema. “Partendo dalle scuole superiori – aggiunge l’esperto – in Italia molto spesso manca lo studio delle piante basato sull’osservazione, mentre alle scuole elementari e medie inferiori c’è più attenzione al tema”. All’università, per chi sceglie le discipline biologiche le cose vanno meglio, dato che nei programmi la botanica è presente, anche se in futuro dovremmo stare più attenti. “Partiamo dal fatto che chi insegna all’università è contemporaneamente anche ricercatore”, sottolinea Bruni. “Ma oggi i ricercatori si occupano sempre meno della ‘botanica classica’ e sempre più di branche e settori vicini quali l’ecologia, la genetica e le applicazioni tecnologiche. Il rischio è che questo discostamento passi piano piano anche nell’insegnamento”.
Ritrovare la meraviglia
Fra l’altro dovremmo ritrovare lo stupore e imparare ad emozionarci davanti alla natura. In generale, a differenza di quanto facciamo per dipinti e altre opere d’arte, non siamo abituati a sorprenderci per esempio davanti a una quercia o a un salice. “Spesso questo genere di interesse e di stimolo, anche emozionale, nasce quando l’argomento ha fatto parte della propria esperienza fin da bambini o comunque da un’età molto giovane”, commenta Bruni, “cosa che può avvenire, per esempio, se si studia l’argomento a scuola”. Ma anche genitori, familiari e altre figure di riferimento possono fare molto per avvicinare bambini e ragazzi alla botanica.