Quella vissuta ieri a Bruxelles è stata a modo suo una giornata storica. Dopo decenni di attesa e mesi di confronto con gli esperti, gli operatori dei settori coinvolti e la società civile, la Commissione europea ha presentato la sua proposta di Direttiva sul suolo. Un provvedimento di grande importanza, un’iniziativa che ribadisce l’impegno della Ue per il ripristino della salute dei terreni continentali. Ma quello compiuto mercoledì, è opportuno sottolinearlo, va visto come un primo passo di un percorso che richiederà ulteriori tasselli per essere considerato pienamente soddisfacente.

Il grande merito della proposta è quello di spingere gli Stati membri a importanti azioni di monitoraggio. L’obiettivo della Commissione è infatti di arrivare, entro i prossimi cinque anni, ad avere un quadro preciso della situazione dei suoli europei. Su altri aspetti, il testo illustrato dal vicepresidente della Commissione Frans Timmermans e dal commissario per l’Ambiente, Virginijus Sinkevicius, rispecchia solo parzialmente gli obiettivi ambiziosi e lungimiranti che l’Europa aveva già fissato in precedenza.


Nella sua Strategia 2030 per il Suolo, in particolare, la Commissione si è impegnata a riportare in salute tutti i terreni europei entro la metà del secolo. Per riuscirci occorrono azioni concrete,  coraggiose e un deciso cambio di rotta, a partire dal consumo di suolo che procede a ritmi insostenibili in molti Paesi, Italia in primis. Nella stessa introduzione alla proposta di legge, la Commissione ricorda che il 60-70% dei suoli continentali è malato e che i terreni coltivabili si sono dimezzati in 50 anni da 0,36 ettari pro capite a 0,18.


La decisione di istituire un quadro coerente di monitoraggio di tutti i suoli nella Ue e di obbligare gli Stati membri a dotarsi di un registro aggiornato dei siti contaminati, facendo al tempo stesso una valutazione specifica per ogni sito sulle sue ricadute per la salute umana, rappresenta certamente una buona notizia. Al tempo stesso, tuttavia, occorre ricordare che nessuna attività di mappatura, nemmeno la più capillare e approfondita, è in grado, da sola, di invertire la tendenza al degrado della salute dei suoli. Se vogliamo raggiungere risultati concreti, insomma, dobbiamo fare di più, inserendo, ad esempio, obiettivi specifici che siano il frutto di una valutazione di impatto, di un dialogo con le parti e di una visione sistemica che tenga conto delle conseguenze delle azioni messe in campo in ogni comparto.


La proposta di direttiva, come si diceva, contiene comunque già diversi elementi importanti che meritano il giusto riconoscimento. Positiva, ad esempio, è la scelta di prevedere un insieme di “linee guida” che gli Stati dovrebbero seguire in caso di consumo di suolo. Secondo il testo della Commissione si dovrebbero ridurre il più possibile le aree soggette a questo fenomeno e, laddove non fosse possibile impedire il consumo stesso, i Paesi sarebbero chiamati a selezionare quelle zone dove la perdita di servizi ecosistemici sarebbe comunque ridotta al minimo, compensando inoltre il più possibile tale deficit e salvaguardando i terreni più “nobili”.


Importante, inoltre, è la volontà di sostenere gli agricoltori che hanno investito in pratiche agricole sostenibili – come la rotazione delle colture, ad esempio – anche attraverso modelli di carbon farming e sistemi premianti, con l’obiettivo di potenziare i casi virtuosi. Anche l’attenzione alla riduzione degli scarti della filiera agroalimentare – meno 10% il target fissato per il 2030 ma si arriva a meno 30% per la distribuzione e il consumo – rappresenta un segnale positivo.


A questo punto, però, dobbiamo seguire con estrema attenzione l’iter di approvazione che si aprirà nelle prossime settimane. In tale sede sarà importante infatti potenziare il contenuto della direttiva. L’auspicio è che il Consiglio dei Ministri UE e il Parlamento Europeo apportino sensibili integrazioni al testo attuale in modo da renderlo coerente con la priorità di avere terreni sani. Da essi – è bene non dimenticarlo mai – dipende il 95% della nostra produzione agricola. Una corretta gestione del suolo, la risorsa più limitata di cui disponiamo, aiuta inoltre a mitigare la crisi climatica e ottimizza l’efficienza del sequestro di carbonio. Sono sfide che non possiamo eludere.

Da parte sua, Re Soil Foundation e le realtà accademiche e produttive che la compongono faranno la loro parte per diffondere sempre di più la consapevolezza di quanto i suoli sani siano un elemento imprescindibile per il nostro futuro, la nostra salute, il nostro ecosistema.

*Debora Fino è presidente di Re Soil Foundation