Alla fine credere nella “primavera” ha fatto il miracolo: la Tasmania è passata da Paese emettitore a uno dei pochi Stati del mondo, insieme a Suriname e Bhutan, a diventare carbon negative. Significa che assorbe più carbonio di quanto ne emette, che l’azione delle foreste e degli oceani è più forte di quella dell’uomo con le sue emissioni climalteranti. È un risultato che appena pochi decenni fa, nella Tasmania grande esportatore di truciolato di legno, sembrava impossibile. Eppure, se come certifica oggi uno studio pubblicato sulla rivista Environmental Research Letters dagli scienziati della Griffith University la Tasmania è diventata carbon negative è dovuto proprio a uno straordinario esempio di visione del futuro che potrebbe essere applicato anche in altri luoghi del Pianeta.

Centinaia di anni fa la zona della costa ovest a Sud di Triabunna era un piccolo paradiso composto da baie incontaminate, foreste di eucalipto e mari ricchi di balene, pesci e biodiversità. Già nell’Ottocento però l’insediamento dell’uomo iniziò a modificare gli ecosistemi: le prime foreste vennero abbattute per far spazio ai pascoli e alle pecore e l’habitat di quell’angolo di Tasmania iniziò gradualmente a mutare. Nel 1972, la zona che divenne nota come Gunns Triabunna Mill, diventò la sede di una importante industria per ottenere truciolato dal legno dei 43 ettari di foreste dell’area. In poco tempo l’azienda crebbe a dismisura tanto da diventare una delle più grandi al mondo per esportazioni di trucioli e segatura.

Dove prima c’erano soprattutto foreste per decine di anni si sono visti così soltanto grandi macchinari, segherie, operai al lavoro e decine di milioni di alberi abbattuti e trasformati in trucioli da trasportare sulle navi verso l’Australia e altri Stati. L’impatto dell’industria del legno sull’isola era diventato talmente evidente che le operazioni nella Gunns Triabunna negli ultimi 40 anni sono state costantemente al centro del dibattito in Tasmania, fra ambientalisti che chiedevano la sospensione della deforestazione e cause in tribunale intentate dai dirigenti dell’azienda contro chiunque tentasse di ostacolarli. Poi però, anche a causa della crisi economica e un’opinione pubblica sempre più scettica nei confronti del disboscamento, nel 2011 la società è stata temporaneamente chiusa, in attesa di trovare i fondi per ripartire.

Fu allora che due ambientalisti milionari, Jan Cameron e Graeme Wood, ebbero la visione della “primavera”: decisero di intervenire acquistando il sito e chiamandolo appunto Spring Bay Mill. Il loro scopo però non era quello di sfruttare il legno, ma al contrario di ripristinarlo a partire dalla salvaguardia delle foreste. Così hanno iniziato impedendo prima gli abbattimenti in programma e poi hanno piantumato oltre 10mila piante, riabilitato terreni, costruito alloggi ecosostenibili, dedicato aree ad alberi da frutta, avviato fattorie biologiche e realizzato spazi per l’arte pubblica. L’intera area, oggi nuovamente ricca di natura e biodiversità, è stata trasformata in un luogo per eventi, turisti, per workshop internazionali di sostenibilità ambientale e molto altro: è completamente rinata dopo lo stop alla deforestazione.

I due proprietari hanno inseguito la loro visione con convinzione senza immaginare quello che sarebbe accaduto dopo: “Un profondo e inaudito miracolo” lo ha definito il professor Brendan Mackey della Griffith University, uno degli autori che ha certificato come adesso – proprio grazie alla rinascita di Spring Bay – la Tasmania è diventato addirittura un paese carbon negative. Mackey racconta nel suo studio come la principale causa di emissioni di gas serra della Tasmania finora era proprio dovuta al disboscamento delle foreste native e secolari: senza più alberi enormi quantità di carbonio sono state rilasciate nell’atmosfera. Grazie alla chiusura dell’industria del truciolato e il ripristino dei boschi, oggi la tendenza si sta però invertendo: la Tasmania è passata da emettitore di circa 10 milioni di tonnellate di anidride carbonica all’anno a un “pozzo” che ne assorbe oggi la stessa quantità.

Una lezione, quella della Spring Bay, che secondo gli scienziati suggerisce la possibilità che anche altri Stati dove sono presenti grandi industrie legate al disboscamento, come nel New South Wales o Victoria in Australia, proteggendo le foreste anziché tagliarle possano ottenere enormi benefici ambientali. Del resto, concludono gli autori dello studio, “con la giusta gestione possiamo comunque soddisfare la domanda di legname senza aumentare di tanto le emissioni. L’importante è agire come in Tasmania dove ogni singolo albero che viene raccolto viene ripiantato o rigenerato per il futuro”.