Sono Jacopo, ho 35 anni, sono un ricercatore e ho l’onore di essere presidente di una rete di esperti e giovani esperti italiani sul clima, Italian Climate Network, attiva dal 2011. “Abbiamo a cuore il nostro Pianeta e vogliamo agire per il clima!”, è la frase che troverete sul nostro sito. Lavoriamo, disseminati tra l’Italia e l’Europa, affinché il tema dei cambiamenti climatici diventi prioritario nel dibattito pubblico e occupi un ruolo centrale nell’agenda politica nazionale. Lo facciamo lavorando nelle scuole, formando insegnanti e giornalisti, producendo reportistica dai negoziati ONU. Ci siamo chiesti, e ci hanno chiesto, “ma noi e il clima, con la Piazza per l’Europa, che c’entriamo?”. C’entriamo eccome, c’entra il clima, e c’entrano i valori alla base di questa nostra Unione Europea. Presente e prospettiva, due letture. Secondo Copernicus, cioè secondo i nostri satelliti europei sul clima, il 2024 è stato non solo l’anno più caldo di sempre nel mondo, ma anche il primo in cui abbiamo superato la soglia critica di 1,5 gradi di riscaldamento medio globale, avvicinandoci pericolosamente ai limiti entro i quali possiamo ancora stare negli obiettivi dell’Accordo di Parigi del 2015 (sono già passati dieci anni, incredibile vero?).
Poi, cito. “L’essere umano è un animale abitudinario e intellettualmente assai resiliente, e soprattutto restio ai cambiamenti di paradigma [..] è questa la ragione che spesso fa apparire l’ecologia come una posizione estrema e radicale e il percorso che ne sta alla base come utopico. [..] (Ma) non c’è niente di radicale nell’ecologia e niente di utopico nel difficile percorso [della transizione ecologica]”. Siamo un’associazione che basa il proprio lavoro su evidenze e dati scientifici come quelli di Copernicus, ma siamo anche consapevoli che per portare quei dati al pubblico serva qualcosa di più, serva una costruzione sociale e politica, serva una desiderabilità, diceva Alexander Langer. Le parole che ho citato poco fa sono invece di un filosofo, Andrea Porciello. Le cito spesso quando vado nelle scuole a incontrare gli studenti. Rispetto al disastro climatico dobbiamo portare qui una riflessione su cosa sia estremo, su cosa sia radicale, su cosa sia necessario, su cosa sia – pragmaticamente parlando – difficile. Non siamo ingenui. Né sul clima né sull’Europa. Torno sulla parola difficile. La decarbonizzazione su larga scala che ci chiede la scienza da almeno 40 anni è infatti difficile, sappiamo che significa cambiare il modo in cui viviamo, produciamo, commerciamo, servono impegno e risorse, tante. Ma sarebbe ancora più terribile non farlo e per fortuna i modi per agire e programmare ci sono.
Difficile non equivale a impossibile, soprattutto quando quel difficile è necessario. Senza un’idea pratica e realizzata di Europa unita, pur con tutti i limiti del presente, forse non avremmo mai avuto a disposizione, come società, tutti gli strumenti tecnici, scientifici, culturali, politici per vedere quel lavoro difficile come necessario. Li abbiamo avuti grazie alla possibilità per milioni di noi di studiare e lavorare in altri Paesi. Li abbiamo avuti grazie alla libertà di movimento interna di idee, persone, emozioni e visioni di mondo tra popoli fino a pochi decenni fa divisi da odii, muri, visti, file ai consolati, filo spinato alle frontiere. Penso poi all’Europa dell’originaria ambizione del Green Deal, oggi sotto attacco, dei progetti LIFE e Horizon, della diplomazia del clima, delle borse di studio Marie Sklodowska-Curie per le materie scientifiche, penso all’Europa di Copernicus, appunto, che permette a ognuno e ognuna di noi oggi in piazza di accedere gratuitamente ai dati satellitari sul nostro clima. Proprio in queste settimane, dall’altra parte dell’oceano, strumenti simili vengono indeboliti o cancellati nel nome del risparmio di spesa, che non è altro che negazionismo fossile. Siamo consapevoli che dei nostri compagni di viaggio guardano questa piazza con diffidenza, viste le contingenze politiche. Noi siamo qui per un’idea di unione lunga e proiettata nella storia, basata su valori forti, che va oltre i singoli fatti dell’oggi e le attuali contraddizioni. Quella stessa idea lunga che muoveva chi, in un contesto storico terribilmente meno “comodo” del nostro, sognava e scriveva di un continente che rinunciava alle armi ed alla violenza per dedicarsi alla pace e all’unione dei popoli.
Noi oggi siamo qui anche sulla base di un’evidenza semplice: dove c’è un conflitto armato non può esserci azione per il clima. Punto. Deve essere chiaro che ogni pezzo del nostro Pianeta dove si bombarda, si uccide, si distrugge, quelli sono ettari di terra sottratti al futuro del clima, oltre che dell’umanità. Ma torniamo al senso di questa piazza, oggi. Ho provato a immaginare il nostro lavoro, i nostri sogni (noi ma soprattutto i più giovani, ci riusciamo ancora?) le nostre prospettive, ecco, in un futuro in cui l’Europa non c’è. In cui smettiamo di collaborare, di parlarci, di lavorare assieme, in cui i programmi di ricerca non vengono finanziati, l’azione per il clima non viene sostenuta dalle istituzioni, la società civile non viene protetta, in cui un attivista può sentirsi sotto attacco molto più di un’azienda che ancora vende gas o petrolio. Purtroppo, stiamo già vivendo un po’ di questo non-futuro anche nel nostro continente, ma se siamo bravi dovremmo riconoscerlo e costruire una cosa diversa, no? Mi impegno a evitare espressioni che guardano al passato. Avanti. Ognuno di noi è chiamato a costruire. Per quel percorso lungo e difficile che porta all’uscita dalle fonti fossili, alla fine dei sussidi ambientalmente dannosi, a paesaggi di rinnovabili in un ambiente salubre e pulito, ecco per quel percorso noi crediamo che serva come cornice un’idea grande da inseguire e costruire senza dare niente per scontato, senza nuovi fili spinati e con le parole come strumento di dialogo, non le armi, le rinnovabili e non il gas e il petrolio, una visione che unisca tutti da Belfast a Belgrado – e cito volutamente ferite ancora aperte nella nostra storia. E allora l’Europa che vogliamo, verde, accogliente e pacifica passa anche da un impegno appunto estremo, radicale, in ultima analisi utopico, come altri descrivono la nostra lotta per il clima. 60 anni fa l’Europa unita, l’Erasmus e Copernicus non c’erano. Pensarci era abbastanza estremo se non ridicolo, era sicuramente radicale, era decisamente utopico. Eppure. Non guardiamo solo a cosa siamo oggi, in questo scuotersi del mondo. Per costruire serve coraggio e crediamo ci siano tutte le condizioni per farlo. E credo che queste lotte stiano, in ultima analisi, in una stessa unica prospettiva, contraria ad ogni negazionismo antistorico ed antiscientifico. Come dicevo in apertura, siamo qui perché abbiamo risposto a una chiamata su questa idea grande, su quei valori fondativi e.. rinnovabili, oggi sotto attacco anche dall’interno, e questo ci impone come società civile di rimanere vigili; abbiamo risposto a una chiamata dicevo, e non potevamo che rispondere affermativamente. Grazie.
*(L’autore è presidente di Italian Climate Network)