Al telefono la voce di Carlo Barbante, il glaciologo che cerca di preservare la memoria dei ghiacciai, lascia trapelare il dolore per la tragedia umana e la preoccupazione per i segni del disastro ambientale. Il direttore dell’Istituto di scienze polari del Cnr quanto è accaduto sulla Marmolada ieri l’ha previsto da tempo, non solo perché, come professore di Ca’ Foscari e coordinatore del progetto internazionale Ice Memory, conosce la situazione dei ghiacciai europei. Queste sono le sue montagne: “Ieri ero sulle Tofane (massiccio delle Dolomiti non lontano appunto dalla marmolada n.d.r.) e vedevo da lontano la Marmolada. Non avevo visuale diretta sul punto del distacco, ma qual era l’anomalia della temperatura era chiaro”.
Carlo Barbante: non parliamo mai abbastanza di clima
Professore in quel momento ha pensato che potesse accadere una cosa del genere?
“Veramente ci penso da tempo. Il distacco di ieri è eccezionale, ma non imprevedibile. Da oltre un mese ci sono condizioni di temperatura del tutto anomale: ieri in alta quota c’erano una decina di gradi sopra lo zero, con lo zero termico oltre i 4300-4500 metri di quota. Con temperature sopra lo zero a quelle quote potenzialmente tutti i grandi ghiacciai delle Alpi si trovano in zona fusione, visto che in genere lo zero termico si registra intorno ai 2300 metri al massimo. A questo si aggiunga che lo scorso inverno le precipitazioni nevose sull’arco alpino orientale sono state scarsissime, così i ghiacciai, compreso quello della Marmolada, non hanno beneficiato della copertura della neve, per cui il ghiaccio blu era esposto già da tempo”.
Dal punto di vista fisico che cosa è successo?
“Le alte temperature hanno provocato lo scioglimento, probabilmente c’è stata una enorme intrusione di acqua tra il ghiaccio e la roccia, che ha scavato un’area che si è appunto riempita di acqua. A ciò si aggiunga che le rocce si riscaldano più facilmente: insomma, è crollato il sostegno del ghiaccio sopra questa cavità con l’acqua e il ghiaccio è precipitato”.
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Quanto è accaduto ieri può ripetersi in altri ghiacciai?
“Tutti i ghiacciai della Alpi sono a rischio, a bassa quota sono più vulnerabili, ma come abbiamo visto l’alta quota non è più garanzia di temperature più basse. Quando immaginiamo lo scioglimento dei ghiacciai ci figuriamo il cubetto di ghiaccio che si scioglie lentamente sul tavolo, ma non accade così: i fenomeni di percolazione, cioè le infiltrazioni di acqua, avvengono lentamente, ma il collasso si verifica in maniera repentina”.
Non c’è un sistema di allerta come per le valanghe?
“Nella stagione invernale abbiamo un sistema capillare di bollettini neve meteorologici, che aiutano gli sci alpinisti. I bollettini vengono però sospesi quando non c’è più il pericolo di valanghe, ma le ondate di calore, come visto, sono all’origine di altri eventi disastrosi. Credo che i bollettini andrebbero mantenuti per informare sui rischi anche in estate. Nessuno avrebbe potuto prevedere quanto successo, ma è chiaro che con queste temperature distacchi come questo sono possibili”.
Il vostro progetto sulla memoria del ghiaccio è anche un progetto di monitoraggio?
“Quando preleviamo le carote di ghiaccio per studiarle e conservarle verifichiamo anche la situazione del ghiacciaio ed esistono sistemi di monitoraggio continuo, come, ad esempio, quello del Planpincieux nel massiccio delle Grandes Jorasses, lungo il versante italiano del massiccio del Monte Bianco. Sappiamo che in alcuni ghiacciai si stanno staccando enormi torrioni o seracchi, alcuni sono visibili, per altri servirebbero strumenti radar per vedere le cavità e azioni capillari”.
Si è parlato di coprire i ghiacciai per evitarne lo scioglimento. È fattibile?
“Sono palliativi, si possono salvare un paio di ettari, ma non si arresta la sorte di tutto il sistema. Il destino dei ghiacciai italiani è segnato, anche se oggi tagliassimo in maniera radicale le emissioni di CO2 per agire sul riscaldamento globale. Il sistema alpino, e non solo, è completamente fuori equilibrio, i modelli climatici ci dicono che entro la fine del secolo potranno sparire i ghiacciai delle Alpi al di sotto dei 3600 m. Alcuni a quote più basse come la Marmolada, anche prima”.
Professore, è una previsione cupa.
“È la realtà che noi scienziati abbiamo affrontato da tempo, mentre mi addolora che se ne parli davvero soltanto quando accadono tragedie come questa. Abbiamo già ipotecato gran parte del nostro futuro, noi lo gridiamo ad alta voce, ma soltanto la perdita di vite umane scatena la discussione. In realtà, la crisi climatica fa vittime ogni giorno perché è la madre di tutte le crisi, sociale, economica, alimentare, delle migrazioni. Non possiamo più fare finta di niente”.