Un frammento di spiaggia al cospetto dei ghiacciai. Con la bella stagione, passeggiando nei boschi sulle Alpi, si potrebbero incontrare diverse palme. Non sono molto alte e formano piccole isole di macchia tropicale all’interno della foresta. Queste piante, in realtà, non sono del tutto fuori luogo. Al contrario: originarie di una vasta area che dalla Cina centrale e dal Giappone raggiunge le pendici dell’Himalaya nel Sudest asiatico, possono resistere a temperature invernali che solo di rado si toccano oggi sulle nostre montagne. La palma di Fortune (Trachycarpus fortunei), così come si chiama questa specie, è stata (ed in parte lo è ancora) un classico dei giardini esotici nei climi più freddi. Nel suo ambiente naturale può crescere oltre di duemila metri di altitudine. In Europa è stata introdotta a fine Ottocento per l’adattabilità al clima dell’Italia settentrionale dove si può coltivare all’aperto, e senza cure incessanti, anche nelle aree alpine.
Fino a dieci anni fa era un fantasma e rimaneva confinata nei giardini domestici ma con l’aumento delle temperature è evasa ed ha iniziato a colonizzare le aree naturali più vicine. Dall’anno scorso in Svizzera, dove è così comune che viene chiamata palma del Ticino, è diventata un’emergenza ecologica mentre in Italia si diffonde, per il momento, a un ritmo meno sostenuto.
La palma di Fortune è stata inserita nell’elenco delle specie di Atlas Flora Alpina, un progetto di cooperazione internazionale avviato nel 2022 per documentare l’intera vegetazione alpina a cui collaborano centri di ricerca e istituzioni di Austria, Francia, Germania, Italia, Slovenia e Svizzera. Nell’ultimo censimento, effettuato nel 2004, questa pianta non era ancora registrata.
“La palma è segnalata ormai in molti boschi termofili, dove ci sono temperature più miti, lungo tutta la fascia meridionale delle Alpi dal Piemonte al Friuli-Venezia-Giulia. – spiega Alessio Bertolli, botanico e vicedirettore della Fondazione Museo civico di Rovereto, partner italiano di Atlas Flora Alpina – La pianta è presente nei giardini da più di un secolo e ha sempre avuto un carattere invasivo ma fino alla prima metà degli anni Duemila non si era naturalizzata grazie alla selezione naturale praticata dagli inverni più rigidi. La recente esplosione di questa specie è con ogni probabilità dovuta a un clima più caldo“.
Anche se in Svizzera ci sono esemplari che resistono alla neve e al gelo prolungato rischiando così di sostituire la flora autoctona. “Non siamo ancora in questa fase ma di sicuro la palma di Fortune sta occupando una nicchia ecologica importante nel sottobosco dove crescono spontanee specie importanti come il corniolo o il filadelfo. – prosegue Bertolli – Rispetto a queste piante, la palma non perde le foglie in autunno e prosegue la fotosintesi continuando così a crescere saturando l’ambiente”. Questa avanzata di piante alloctone sempreverdi favorita dall’effetto serra ha un nome preciso: si chiama laurofillizzazione. I danni maggiori li subiscono i boschi di latifoglie decidue come i querceti di roverella e farnia o le comunità di carpino nero e orniello.
Malgrado la pessima reputazione, nel 2017 diversi esemplari Trachycarpus fortunei sono stati piantati nelle aiuole di piazza Duomo a Milano per un progetto di restyling delle aree verdi. Una scelta originale ma che aveva sollevato più di un dubbio tra gli esperti. In realtà la palma, inserita nella lista nera delle piante invasive sia in Lombardia che in Piemonte, può essere acquistata in vivaio senza tanti problemi. “Spesso la diffusione di queste alloctone parte anche dai lavori di rotazione del giardino. – prosegue il botanico – La palma di Fortune, come il poligono del Giappone e altre di questa categoria, ha capacità riproduttive straordinarie e colonizza tutto lo spazio disponibile fino a quando il proprietario non decide di liberarsene contribuendo, in forma involontaria, alla loro propagazione“.
21 marzo – Giornata internazionale delle foreste
L’ailanto, il pino nero e altre storie di alberi “sbagliati”
di Fabio Marzano
Un caso simile, in cui l’invasione biologica è dovuta a un errore umano, è quello dell’ailanto, un albero infestante e bestia nera per qualsiasi area verde. Nell’Ottocento è stato importato dall’Asia per offrire un’alternativa alle foglie di gelso bianco, attaccate da un’epidemia, per l’alimentazione dei preziosi bachi da seta. Peccato che il succedaneo offerto agli insetti non fosse di loro gradimento. Una volta eliminati gli alberi la specie, che può clonarsi per talea, si è comunque diffusa a un ritmo inarrestabile.