Cari bagnanti, d’ora in avanti non storcete il naso. Perché le foglie di Posidonia oceanica che si accumulano lungo le spiagge, formando le cosiddette “banquette” che ai vostri occhi – poiché percepite come rifiuto – sono assai poco gradite, sono in realtà una ricchezza e una risorsa per l’arenile. Anzi, sono un chiaro indicatore della qualità degli ecosistemi del litorale. E così, mentre in Sardegna i processi di rimozione e smaltimento (costosissimo) di carichi di posidonia hanno alimentato polemiche politiche e “j’accuse” di danni d’immagine, si fa largo un nuovo approccio, che mira a considerare le banquette una potenziale componente naturale dei litorali di casa nostra.
“Questo accadeva fino a qualche decennio fa, prima che si affermasse un modello culturale di turismo che privilegia l’idea di una spiaggia pulita, sul format caraibico, ignorando che i fenomeni di spiaggiamento della posidonia sono del tutto naturali, che le foglie sono del tutto innocue e la presenza, nei paraggi, della pianta marina è uno straordinario valore aggiunto”, spiega Alfonso Scarpato, che con l’ISPRA si occupa di monitoraggio e caratterizzazione dello stato della qualità dell’ecosistema e delle acque marine. Il ricercatore da diversi anni porta avanti una missione: promuovere il modello delle cosiddette “spiagge ecologiche”, dove è la natura a dettare legge, non noi. Con buona pace dell’instagrammabilità, potenzialmente minacciata dai cumuli (antiestetici?) delle foglie che la pianta perde stagionalmente e che le mareggiate trascinano sui litorali.
Verso un cambio di paradigma
La discussione su come gestire la posidoniaspiaggiata non è nuova. Già nel 2006, il Ministero dell’Ambiente riconosceva il ruolo ecologico delle banquette, in particolare per la protezione delle spiagge dall’erosione, indicando la possibilità di lasciarle sull’arenile. “Oggi noi promuoviamo modelli di gestione alternativi al conferimento in discarica. – spiega Scarpato – Monitoriamo i litorali italiani, osservando le aree più interessate dal fenomeno, e proponiamo percorsi di educazione ambientale rivolti ad amministratori e fruitori, enti e operatori balneari: lavoriamo, insomma, perché cambi la percezione diffusa. Proponiamo possibili soluzioni, suggerendo tre opzioni: la prima è lasciare i cumuli dove sono, perché continuano ad avere le loro importanti funzioni ecologiche ed ecosistemiche, e perché proteggono le coste dall’erosione; la seconda è spostare provvisoriamente, all’inizio della stagione balneare, i cumuli nel retroduna, per poi ricollocarli in autunno dov’erano; la terza è quella di utilizzare la posidoniamorta in un’ottica di economia circolare, più risorsa che rifiuto. Questa pianta è infatti utile nella cosmetica, per esempio, ma anche per ricavare materiale per pannelli isolanti”.
La mappa delle spiagge ecologiche
Ma come reagiscono gli operatori turistici? “La sensibilità è in crescita – spiega Scarpato – favorita dall’idea che possa nascere un network di spiagge ecologiche, e dunque virtuose, che si rivolgano a un turista consapevole, che sceglie di sostare su un litorale a zero impatto umano”. Con il progetto Bargain, con il contributo della Regione Lazio e la partecipazione di Enea e università di Tor Vergara, per esempio, la posidonia spiaggiata ha dato vita a elementi di arredo balneare e sono nate le prime due spiagge ecologiche, una a San Felice Circeo e una a Cerveteri, all’interno del Monumento Naturale Palude di Torre Flavia. Il progetto MED Dé.Co.U.Plages, finanziato dall’Ue Italia-Tunisia 2014-2020, ha invece portato alla creazione di una spiaggia ecologica a Favignana e una in Tunisia.
Con il progetto Poseidonia Beach, ancora, è la spiaggia di Marina di Ascea, in Cilento, a diventare ecologica. “Ai gestori dei lidi abbiamo chiesto non solo di non rimuovere gli accumuli di posidonia sulla spiaggia, ma anche di informare i bagnanti sulla loro importanza per favorire la conoscenza del mare e della spiaggia“, spiega Scarpato. Cartoon, fumetti e illustrazioni hanno raccontato il progetto anche ai più piccoli. “Che sono i primi a non farci caso”, aggiunge. Ma la strada è ancora lunga. “Anche se molte associazioni ci chiedono di aiutarli ad adottare il modello di gestione, è innegabile che per il turista medio le banquette siano ancora un problema“, conferma il ricercatore. E chissà che non possano essere utili, per un’ulteriore sensibilizzazione, i risultati di un nuovo progetto, presentato nell’ambito del programma di finanziamento Italia-Francia Marittimo 2024, con il quale Italia e Francia potranno studiare quale sia la protezione offerta dalle banquette di posidoniaoceanica nei confronti del cambiamento climatico, in particolare l’innalzamento del livello del mare.
La seconda vita della posidonia: così diventa energia sostenibile
Ma il turismo capirà?
Non tutti sono però ottimisti. “Non è detto che una versione più naturale della spiaggia sia compatibile con le nostre modalità di turismo“, annota Carlo Santulli, che insegna Scienza dei Materiali all’università degli Studi di Camerino. “La maggior parte delle spiagge in Italia sono un ambiente ricostruito periodicamente, se non ad ogni stagione, da interventi di consolidamento. Negli ultimi decenni siamo abituati a conoscere l’ambiente della spiaggia in forma modificata rispetto all’aspetto naturale, per permettere le attività turistiche. La rimozione delle alghe e della posidoniarisponde a questa domanda di spiaggia modificata. Così – aggiunge – l’eccesso del suo deposito sulla spiaggia per anni è probabile che, non diversamente per come accade per gli scarti agroforestali nel bosco, impedisca o limiti molto le attività umane in quel contesto, anche la stessa balneazione da certe parti di spiaggia. Quello dell’eccesso di scarti verdi è un discorso delicato. Fatto salvo il possibile potenziale anti-erosione, al momento in un concetto di economia circolare non possono finire né in discarica né all’incenerimento, anche se quello della produzione di energia dalla posidonia spiaggiata era un utilizzo tradizionale su entrambe le sponde dell’Adriatico, in particolare in Dalmazia”.
Santulli conclude sottolineando però come “la posidonia può essere mantenuta in spiaggia in quantità compatibili con il suo utilizzo, che si può ipotizzare anche più leggero” ed “ambientalmente sostenibile”. E suggerisce, per quella in eccesso, un utilizzo come fonte “di materiale lignocellulosico, sostitutivo di materiale cartaceo e per pannellature, impedendo di fatto il taglio dei boschi in vista della produzione di pasta di cellulosa ed altro, visto che la posidoniacontiene, oltre alla cellulosa, circa il 30% di lignina”.
La campagna
Una stuoia verde per salvare la posidonia, oro blu del Mediterraneo
dal nostro inviato Vittorio Emanuele Orlando
“Nessuna controindicazione per i bagnanti”
Oltre allla questione estetica, perché si percepisce l’arenile con la posidonia”brutto”, le persone tendono a considerare le banquette sporche e quindi potenzialmente pericolose. La biologa marina Olivia Cassetti, oggi affiliata all’università di Padova, spiega però che non bisogna avere timore di mettere i piedi tra la posidonia. “Le banquette non sono pericolose per la salute umana né fonte diretta di pericolo. Raramente gli spiaggiamenti producono odori sgradevoli, anzi è la condizione meno frequente: succede unicamente quando il materiale permane a lungo in acqua, o in condizioni di sovrasaturazione. Invece, il ruolo ecologico delle banquette è stato ampiamente sottolineato dalla letteratura scientifica: costituiscono un habitat molto importante nel funzionamento trofico delle coste marine e terrestri e, nei luoghi meno frequentati, un’area di nidificazione per gli uccelli, dove i piccoli beneficiano della protezione dai predatori grazie al mimetismo. Inoltre, l’apporto di materia organica alla vegetazione terrestre consente lo sviluppo della flora dunale e retrodunale. Per tacere del ruolo protettivo contro l’erosione delle coste. Gli interventi di rimozione alterano il flusso di materia nelle reti trofiche e nella naturale formazione delle dune lungo la costa”.
Cassetti cita, in particolare, il caso della Région Sud, in Francia. “Qui le campagne di sensibilizzazione hanno permesso a molte autorità locali di cambiare i loro metodi di gestione e di adottare pratiche più rispettose dell’ambiente, oltre che dei reali interessi economici delle autorità locali. Ecco, le raccomandazioni di incoraggiare le autorità locali a lasciare le banquette sin loco durante la stagione invernale hanno sortito gli effetti sperati. E così è accaduto anche a Santo Stefano al Mare, in provincia di Imperia, dove nel 2007 è stato avviato un progetto pilota per mantenere più possibile in loco le banquette durante il periodo non balneare e limitare gli spostamenti durante la sola stagione estiva in zone non interessate da attività. Ha funzionato, a quanto pare: in fondo, basterebbe poco”.