Investimenti da 20 miliardi di dollari in tecnologie per raggiungere la soglia di zero emissioni entro il 2050. Il primo ministro australiano Scott Morrison ha annunciato gli impegni di Canberra in vista della Cop26, il vertice sul clima che si aprirà a Glasgow domenica 31 ottobre. L’Australia è il quarto produttore al mondo di carbone (dopo Cina, India e Stati Uniti) e l’industria mineraria è una lobby potente, che influenza le decisioni del governo, tanto che l’impegno a investire sulle tecnologie sostenibili è stato accompagnato da una rassicurazione: il piano per la riduzione delle emissioni, ha precisato Morrison, non significherà la dismissione delle estrazioni di combustibile fossile.

L’impegno dell’Australia per il 2030 rimarrà dunque un taglio del 26% sulle emissioni del 2005. Secondo il governo si è “sulla buona strada per una riduzione del 30-35%”. “Non riceveremo lezioni da altri che non capiscono l’Australia. Il nostro modo di raggiungere gli obiettivi si fonda sulla praticità e non sulle promesse” ha scritto Morrison in un intervento pubblicato oggi da un quotidiano australiano. Il governo è tuttavia fortemente criticato non solo da altri Paesi, ma anche all’interno: il think tank australiano Climate Action ha definito il piano di Morrison “inutile se non ci sarà un taglio drastico delle emissioni entro dieci anni”.

L’analisi

Chi salverà Cop26? Leader per il clima cercasi

di Antonello Guerrera

Continuano anche le azioni legali di cittadini contro il governo. È di ieri la notizia che cinque adolescenti hanno presentato a tre agenzie delle Nazioni Unite denunce di violazioni dei diritti umani per quella che sostengono sia l’inazione sul clima del governo australiano. I giovani, fra cui membri della comunità indigena delle Prime nazioni e di quella delle persone disabili, sostengono che l’obiettivo adottato di riduzione delle emissioni entro il 2030 non garantisce i diritti di tutte le persone giovani in Australia, esponendole al rischio di gravi danni dal cambiamento climatico.

L’impegno degli altri Paesi

Azzerare le emissioni nette a livello globale entro il 2050 per limitare l’aumento delle temperature a 1,5°C è l’obiettivo principale della Cop26. L’Unione Europea ha già raggiunto un accordo tra i suoi stati membri per la riduzione delle emissioni di gas serra nell’atmosfera del 55 per cento entro il 2030, un passo intermedio verso la neutralità carbonica. Gli Stati Uniti, con il nuovo green deal dell’amministrazione Biden, hanno già confermato il loro impegno sulle emissioni zero entro il 2050. Il primo Paese produttore di carbone al mondo, la Cina, ha spostato in avanti il raggiungimento dell’obiettivo al 2060. 

Due giorni fa, un documento guida sul lavoro di Pechino verso il raggiungimento del picco delle emissioni di carbonio ha indicato gli obiettivi di neutralità carbonica secondo la nuova filosofia di sviluppo, stabilendo obiettivi specifici chiave e misure per i prossimi decenni. Secondo il piano, entro il 2030 le emissioni di anidride carbonica della Cina raggiungeranno il picco, si stabilizzeranno e poi diminuiranno ed entro il 2060 Pechino sarà ‘”carbon neutral” e avrà pienamente stabilito un’economia green, a basse emissioni di carbonio e circolare.

Il caso dell’India

L’India, nonostante le visite e le pressioni del presidente di Cop26 Alok Sharma e dell’inviato per il clima statunitense John Kerry, non si è ancora pronunciata sul percorso e i tempi per azzerare le sue emissioni, ma il presidente Narendra Modi ha confermato la sua partecipazione sia al G20 di Roma, sia alla Cop26 a Glasgow. Il governo indiano non ha indicato entro quando pianifica di raggiungere la neutralità carbonica, né ha presentato alle Nazioni Unite un piano climatico aggiornato con gli obiettivi di riduzione del carbonio, come richiesto dall’accordo di Parigi ogni cinque anni.

La posizione indiana è in qualche modo emblematica delle richieste e strategie che le economie emergenti e i Paesi in via di sviluppo faranno ai leader delle nazioni più ricche (e maggiori inquinatrici). Molti stati infatti subordinano il loro impegno a raggiungere la neutralità carbonica agli aiuti promessi o possibili. Tra il 2009 e il 2020, ai Paesi poveri era stato promesso un aiuto complessivo di almeno 100 miliardi di dollari all’anno dai settori pubblico e privato dei Paesi ricchi, per aiutarli a ridurre le emissioni inquinanti e incentivare le politiche ecosostenibili. L’impegno non è stato però mantenuto e secondo l’Ocse, nell’ultimo anno di cui sono disponibili i dati, il 2019, gli aiuti si sono fermati a 80 miliardi di dollari.

All’inizio di ottobre il presidente di Cop26 Alok Sharma ha affermato: “Dobbiamo garantire i 100 miliardi di dollari all’anno ai Paesi in via di sviluppo. Questa erogazione è una questione di fiducia. A Cop 26 dobbiamo cominciare a decidere quello che faremo entro il 2025 e occorre mettere a punto un piano di erogazione di questi fondi”.

Chi dichiara gli obiettivi e chi non lo fa

Altro Paese fondamentale in chiave globale è il Brasile: il presidente Jair Bolsonaro lo scorso aprile si è impegnato a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 e constestualmente ha dichiarato che avrebbe fatto seri passi avanti per sradicare la deforestazione nel suo Paese. Tuttavia, da quando è salito al potere all’inizio del 2019, la devastazione della giungla amazzonica ha raggiunto le sue vette peggiori, e la sua politica ambientale è stata ampiamente criticata.

Grande plauso hanno ricevuto gli Emirati arabi, che hanno annunciato di voler raggiungere le emissioni zero entro il 2050. Gli Emirati Arabi Uniti producono energia solare ai costi più bassi al mondo e ospitano tre dei più grandi impianti solari su scala internazionale.

L’Arabia Saudita, maggiore esportatore mondiale di petrolio, ha dichiarato due giorni fa che punta a raggiungere “emissioni nette zero” di gas serra entro il 2060 e che raddoppierà il taglio delle emissioni programmato entro il 2030.

Infine, ma è uno dei Paesi che più contano nello scacchiere globale, la Russia. Il presidente Putin, che finora è stato uno dei leader politici più scettici sui cambiamenti climatici e sulla necessità di realizzare un sistema economico più sostenibile, qualche giorno fa parlando alla Energy Week di Mosca ha affermato che la Russia si sforzerà di raggiungere la neutralità carbonica entro il 2060, senza però fornire dettagli su come arrivare a questo traguardo.

Obiettivi lontani nonostante le promesse

Scienziati e think tank non lesinano tuttavia critiche anche ai Paesi che hanno promesso la neutralità carbonica entro il 2050. Secondo gli esperti il mondo è ancora lontano dal prevenire catastrofici cambiamenti climatici, soprattutto perché proprio i principali inquinatori, tra cui appunto Cina e Russia, non specificano nel dettaglio in che modo intendono conseguire gli obiettivi di zero emissioni. I paesi responsabili di oltre la metà (53%) delle attuali emissioni globali, ha sottolineato per esempio il World Resources Institute, devono ancora presentare  l’Ndc, il Nationally Determined Contributions, cioè le promesse avanzate dai governi di tutto il mondo in termini di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra.