Dopo oltre un secolo di eradicazioni di specie invasive realizzate nelle isole del mondo, i dati raccolti dimostrano gli straordinari effetti positivi di questo strumento per il raggiungimento degli obiettivi globali di tutela della biodiversità. Le isole rivestono un ruolo chiave a livello globale per la conservazione della diversità della vita. Un nuovo studio, pubblicato su Scientific Reports, evidenzia come le eradicazioni di specie invasive – una delle principali minacce alla biodiversità – hanno avuto uno straordinario successo in tutto il mondo. Questo strumento di conservazione è fondamentale per proteggere le piante e gli animali autoctoni, migliorando la resilienza degli ecosistemi ai cambiamenti climatici e fornendo benefici anche alle comunità che vivono nelle isole.
Lo studio, intitolato “Il contributo globale dell’eradicazione dei vertebrati invasivi come strumento chiave per il ripristino dell’isola”, di cui chi scrive è uno degli autori, è la prima sintesi di tutti gli interventi di eradicazione di vertebrati invasivi nelle isole del mondo. Sono stati analizzati dati di 1550 progetti di eradicazione di mammiferi invasivi da 998 isole, realizzati negli ultimi 100 anni, utilizzando il Database of Island Invasive Species Eradications (DIISE), una banca dati liberamente accessibile, che archivia informazioni su tutte le eradicazioni nelle isole del mondo. L’analisi ha rilevato un tasso di successo dell’88% e una crescita significativa del numero di eradicazioni dagli anni ’80.
“Il nostro studio ha rilevato che le percentuali di successo dell’eradicazione delle specie invasive sono elevate e sono rimaste stabili nel tempo”, ha affermato Dena Spatz, prima autrice dell’articolo e scienziata senior per la conservazione presso la Pacific Rim Conservation. “Questo conferma il duro lavoro delle persone e delle partnership che cercano di prevenire l’estinzione delle specie e ripristinare gli ecosistemi insulari”.
Le isole sono hotspot globali per la biodiversità e sono anche aree particolarmente vulnerabili alle estinzioni; nonostante le isole rappresentino solo il 5% della superficie terrestre, hanno subìto il 61% delle estinzioni dal 1500 e ospitano il 40% delle specie di vertebrati ad alto rischio di estinzione. Le specie invasive, in particolare mammiferi come ratti, mufloni, gatti e capre, sono state introdotte nelle isole dagli esseri umani deliberatamente o accidentalmente, causando impatti gravissimi, predando specie autoctone o danneggiando i fragili habitat di questi ambienti. La rimozione completa delle specie invasive dalle isole si è rivelata uno degli strumenti più efficaci per fermare e invertire questo danno.
“C’è un incredibile effetto positivo su scala globale, dovuto a questi interventi di conservazione locali”, ha affermato Nick Holmes, di The Nature Conservancy e coautore dell’articolo. “Questa sintesi mostra i notevoli effetti di conservazione che sono stati raggiunti collettivamente sulle isole e dimostra il beneficio tangibile per la biodiversità legato a questi interventi”.
Lo studio ha rilevato che l’80% di tutte le eradicazioni è stato realizzato in soli otto Paesi: Nuova Zelanda, Australia, Francia, Regno Unito, Stati Uniti, Messico, Seychelles ed Ecuador. Le evidenze di ricadute positive delle eradicazioni sono numerosissimi; nel 2011 è stata completata la rimozione dei ratti dall’atollo di Palmyra, negli Stati Uniti, e successivamente al completamento del progetto si è registrato uno straordinario recupero ambientale; la germinazione di piante autoctone è aumentata di oltre il 5.000%, due specie di granchi precedentemente quasi scomparse si sono riprese sorprendentemente e i coralli stanno recuperando il territorio perduto nelle lagune dell’atollo.
Anche in Italia sono stati realizzati importanti progetti di eradicazione, come la rimozione del ratto dall’Isola di Montecristo, che ha permesso uno straordinario recupero della berta minore, un raro uccello che nidifica al suolo, esponendosi alla predazione di questi roditori invasivi. Ma per proteggere le specie che abitano le nostre isole sarebbe essenziale aumentare il numero di eradicazioni, interventi che invece spesso trovano scarso supporto.
Un esempio è il progetto di eradicazione del muflone dall’isola del Giglio, promosso dal Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano con il sostegno dell’Unione Europea, che potrebbe contribuire al recupero degli habitat unici di questa isola. Il muflone era stato introdotto al Giglio negli anni ’50, quando alcuni esemplari erano stati trasportati dalla Sardegna e sistemati in un recinto; successivamente gli animali sono riusciti a scappare dall’area recintata, creando una popolazione che sta mettendo in pericolo l’ambiente particolarmente vulnerabile dell’isola. Il progetto potrebbe permettere un significativo miglioramento delle condizioni ambientali del Giglio, ma si è scontrato con l’opposizione di alcune associazioni animaliste, che ne ha rallentato il completamento.
Lo studio pubblicato oggi evidenzia invece che per tutelare la biodiversità è essenziale promuovere gli interventi di eradicazione, ma per questo bisogna comunicare meglio l’importanza di questo strumento, coinvolgendo le comunità locali e le associazioni ambientaliste, in modo da aumentare il supporto verso questo importante strumento di conservazione.
*Piero Genovesi è responsabile servizio coordinamento fauna selvatica dell’Ispra ed è stato inserito da Web of Science nella lista dei più citati ricercatori al mondo