Il 1° gennaio scorso è entrata in vigore una direttiva europea che ha attirato poco l’attenzione ma che potrebbe avere effetti molto importanti sulla finanza. Stiamo parlando della Corporate Sustainability Reporting Directive (Csrd), che obbliga le aziende a pubblicare report dettagliati sui loro dati di sostenibilità. Nelle intenzioni di Bruxelles la direttiva dovrebbe “ridurre il greenwashing, rafforzare l’economia sociale del mercato Ue e gettare le basi per standard di trasparenza sulla sostenibilità a livello mondiale”. La Csrd va a integrare quanto già previsto da un’altra direttiva, la Nfrd (Non-Financial Reporting Directive), che è unanimemente percepita come insufficiente.
I destinatari dei nuovi obblighi di disclosure
I nuovi obblighi di trasparenza sulla sostenibilità si applicheranno a tutte le grandi imprese, quotate in Borsa o meno, e – assoluta novità – dovranno adeguarsi anche quelle estere che fatturano più di 150 milioni di euro nell’Unione europea. Anche le piccole e medie imprese dovranno adattarsi alle nuove regole, ma avranno più tempo per farlo. Secondo i dati comunicati da Bruxelles la raccolta e la condivisione di informazioni sulla sostenibilità diventeranno la norma per quasi 50mila aziende, quasi cinque volte tanto quelle coperte dalle attuali norme (11.700). A tal proposito il relatore Pascal Durand durante il dibattito in plenaria ha affermato: “L’Europa sta dimostrando al mondo che è davvero possibile garantire che la finanza, nel senso stretto del termine, non governi l’intera economia globale”.
Le tappe previste dalla Csrd sono le seguenti. Si inizierà il 1° gennaio 2024 quando scatterà l’obbligo per le aziende con più di 500 dipendenti (già soggette alla Nfrd), che dovranno pubblicare i dati entro il 2025. Il 1° gennaio 2025 sarà invece la volta delle grandi imprese non ancora soggette alla Nfrd (con più di 250 dipendenti e/o 40 milioni di euro di fatturato e/o 20 milioni di euro di attività totali): per loro la scadenza per la pubblicazione dei dati è fissata nel 2026. Da ultimo saranno coinvolte le Pmi e le altre imprese quotate per le quali è stata fissata la scadenza nel 2027 (le Pmi potranno però scegliere di non partecipare fino al 2028).
L’evoluzione del concetto di sostenibilità
“Questo intervento normativo è una pietra miliare storica: le aziende d’ora in poi dovranno confrontarsi pubblicamente con le loro responsabilità in termini di sostenibilità – afferma Alexis Bienvenu, gestore di La Financière de l’Echiquier – Dal vertice di Rio del 1992, il concetto di sostenibilità si è fatto strada in ambito pubblico benché non ne fosse finora stata data una traduzione concreta, normativa e diffusa in ambito finanziario. È ormai cosa fatta, e anche ben fatta perché l’argomento viene affrontato in modo esauriente – e certo complesso – nell’ottica della “doppia materialità”. L’espressione non solo si riferisce all’impatto dell’ambiente e della società sulle attività delle aziende, noto come “materialità finanziaria” in una visione incentrata sul rischio che le colpisce, ma si collega anche con l’impatto delle aziende sull’ambiente e sulla società, e quindi con la loro responsabilità nei confronti di alcuni aspetti della vita che non sono meramente economici. Questo è forse il punto più originale del provvedimento: riconoscere l’interdipendenza tra le dimensioni Esg e le aziende, e non solo il rischio a cui sono sottoposte dall’ambiente”.
Reporting di Scope 3
La Csrd richiede il reporting Scope 3, che include la raccolta di informazioni sulla sostenibilità lungo la catena di approvvigionamento. Un approccio che va molto più in profondità nell’analisi delle emissioni: solitamente è limitata a quanto emesso direttamente dall’impresa oggetto della reportistica. È inoltre richiesta la verifica da parte di un fornitore di servizi di garanzia indipendente, che valuterà i processi che un’azienda ha in atto per la raccolta dei dati. Questo, insieme alla necessità di digitalizzare i dati, richiederà importanti investimenti in tecnologia.