Quando si parla di siccità vengono in mente soprattutto i problemi legati all’agricoltura, oppure ai disastrosi incendi che la siccità favorisce. Parlando di animali ecco le immagini di pesci intrappolati nei fiumi in secca, o di specie selvatiche che non trovano da bere. Da qui gli appelli a fornire ciotole e abbeveratoi. Magari anche sui balconi.
Ma c’è un aspetto della siccità che troppo facilmente trascuriamo: ciò che accade a stagni, torbiere, fossi e ruscelli. Si tratta di ambienti considerati “minori”, e per estensione certamente lo sono. Ma non per importanza ecologica. Anche se il numero di specie presenti in uno stagno (tralasciando i microrganismi) difficilmente supera qualche decina, la biodiversità che viene collettivamente ospitata in tutte le piccole zone umide di una regione, è più grande di quella che ospitano fiumi e laghi in una medesima area. Questo perché stagni, pozze e ruscelli sono piccoli, ma in genere sono molti di più e molto diversi tra loro per storia, forma e posizione. Mentre due laghi presenti nella stessa regione difficilmente ospiteranno specie assai diverse, uno stagno, situato in un alto e ombroso bosco di abeti, avrà una biodiversità ben differente da quello presente tra i prati soleggiati giù nella vallata, che a sua volta ospiterà specie diverse da quelle che abitano il ruscello che scorre tra i salici più in là.
Ma l’importanza (che già basterebbe) non sta tutta qui. Mentre laghi e fiumi tipicamente ospitano specie che trascorrono tutta la vita, appunto, in laghi e fiumi, le piccole zone umide sono la culla di tutta una serie di animali che trascorrono parti importanti della loro vita in altri ecosistemi, arricchendoli notevolmente. Rospi che mangiano i bruchi nei campi, raganelle che predano le cimici sugli alberi, salamandre che mangiano lumache nei boschi e libellule, innumerevoli specie di libellule e damigelle, che divorano mosche e zanzare a chilometri di distanza.
Ebbene: tutto questo mondo legato alle piccole acque in questo disgraziato 2022 sta morendo. Ho visitato decine di stagni asciutti, di torrenti in secca, di pozze desertiche. Dalle coste mediterranee sino agli stagni delle malghe, quest’anno quelle che erano sorgenti di vita sono divenute fanghi di morte. La siccità in alcune regioni dura già dallo scorso inverno, così ci sono stati stagni asciutti, o impaludati, addirittura in primavera. Annullando le nascite di molte specie che possono riprodursi solo in un ristretto periodo dell’anno (come ad esempio la Rana di Lataste, un prezioso endemismo italiano). Molti altri si sono asciugati in questi mesi, e altri stanno asciugandosi ora mentre scrivo queste righe.
Non è solo una questione di poca pioggia: con le alte temperature l’evaporazione di pozze molto piccole diviene drammaticamente più rapida. Non lasciando scampo a larve e a girini, che non riescono a compiere in tempo la metamorfosi, divenendo quegli animali terrestri che poi sarebbero dovuti andare ad arricchire ed equilibrare i nostri ecosistemi. Cosa comporterà questo impoverimento? È allarmante proprio il fatto che sinceramente non lo sappiamo. Non abbiamo idea, oltre al dramma legato all’estinzione locale di alcune specie, quali potranno essere gli effetti a catena sugli ecosistemi. Ma di certo, e questo è noto da tempo, un ecosistema più povero di specie è anche più fragile e più soggetto a squilibri. Più facilmente specie aliene o specie invasive possono prendere il sopravvento.
Ad esempio, un effetto noto quanto sorprendente ai più, è l’aumento delle zanzare.
Le zanzare necessitano di acqua per riprodursi e la siccità, in teoria, dovrebbe limitarle. Sì, ma. C’è un grosso ma. Le zanzare si riproducono in acque veramente piccole (per alcune specie basta un bicchiere o il famigerato sottovaso) e totalmente prive di predatori, dove con le alte temperature la riproduzione avviene in pochi giorni. Basta un temporale, un isolato temporale che non rimedia la siccità e non riempie gli stagni. Però forma una minima pozzanghera là dove c’era il laghetto, o dove sgorgava la sorgente. E in quella pozzanghera, dopo la siccità che tutto aveva ucciso, non ci sarà nessun tritone e nessuna libellula. Senza più biodiversità, le piccole pozze del temporale, ma anche le ciotole che mettiamo per gli animali, divengono dei focolai di sole zanzare. E anche le zanzare, lo sappiamo fin troppo bene, una volta nate non resteranno certo lì.
*Nicola Bressi è naturalista, zoologo e divulgatore scientifico