Come riportato dall’economista Martin Wolf al Financial Times, la storia della nostra civiltà è intrinsecamente legata allo sviluppo del concetto dei “beni pubblici” . Nella sua accezione classica il concetto dei beni pubblici è connesso a categorie concettuali proprie dello stato liberale, e in seguito dello stato sociale (welfare state), quali il diritto all’istruzione, l’illuminazione e la manutenzione delle strade e il diritto alle cure mediche, nonché centinaia di altri beni e servizi che rendono possibile il funzionamento delle società moderne. Anche la sostenibilità (intesa in tutte le sue accezioni: sostenibilità ambientale, certamente; ma anche economica e sociale, così come definite nel 1987 dalle Nazioni Unite ) è un bene pubblico essenziale, nonché strumento abilitante per il perseguimento di tutti gli altri beni pubblici in maniera efficace, stabile e duratura. Secondo tale accezione, lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri.
Tuttavia, fino a tempi relativamente recenti, le pubbliche amministrazioni hanno dato poco peso a tale concetto. In passato la sostenibilità, quando perseguita dalle politiche pubbliche, era affrontata perlopiù nelle sue accezioni ambientaliste e di conservazione, mentre oggi ha acquisito una rilevanza più ampia, diventando un fattore abilitante chiave per garantire la resilienza degli stati e delle società rispetto al protrarsi delle crisi che hanno caratterizzato il primo ventennio del 21° secolo.
Al giorno d’oggi, infatti, le istituzioni pubbliche operano in un ambiente in cui sfide, ruoli e compiti delle pubbliche amministrazioni stanno diventando sempre più complessi e sfaccettati. Per il settore pubblico, il concetto di sostenibilità oggi copre aree che vanno molto al di là di temi ambientali tradizionalmente riconosciuti, quali la trasformazione energetica o la mobilità, andando ad abbracciare anche considerazioni sociali (quali la compatibilità degli impegni familiari e le aspirazioni di carriera) ed economiche (come la lotta alle disuguaglianze). Tale approccio implica l’utilizzo di un’ampia gamma di strumenti di public policy, comprese le politiche di bilancio e le riforme strutturali, nonché di coordinamento multilaterale con i partner europei e mondiali.
La crescente consapevolezza delle istituzioni pubbliche rispetto all’importanza che riveste il concetto di sostenibilità nei propri modelli di erogazione di servizi si evince dal fatto che queste stiano provando, a tutti i livelli di governance (europea, nazionale, locale) a portare avanti iniziative in grado di operare un mainstreaming di tale concetto nelle politiche pubbliche. Ad esempio, il presidente del Consiglio dei ministri, Mario Draghi, ha puntato, nelle sue dichiarazioni programmatiche al Senato, sulla sostenibilità come strumento abilitante per favorire la ripresa dell’Italia.
L’Italia, partendo dall’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, varata nel 2015 dalle Nazioni Unite, ha lanciato una propria Strategia nazionale di sviluppo sostenibile. Tale strategia definisce il quadro di riferimento nazionale per i processi di pianificazione, programmazione e valutazione propedeutici a dare attuazione agli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Tale strategia, che adotta un approccio olistico al concetto di resilienza, va letta in raccordo con i documenti programmatici esistenti, quali il Programma nazionale di riforma”. Come riportato dall’Agenzia per la Coesione Territoriale “la Strategia nazionale di sviluppo sostenibile si configura come lo strumento principale per la creazione di un nuovo modello economico circolare, a basse emissioni di CO2, resiliente ai cambiamenti climatici e agli altri cambiamenti globali causa di crisi locali. La Strategia nazionale di sviluppo sostenibile si basa, infatti, su un approccio multidimensionale per superare le disuguaglianze economiche, ambientali e sociali e perseguire così uno sviluppo sostenibile, equilibrato ed inclusivo.”
Più recentemente, a livello europeo, le risorse stanziate per i Piani nazionali di ripresa e resilienza contengono il principio Do No Significant Harm (DNSH) che prevede che le azioni delineate nei Pnrr non possano arrecare alcun danno significativo all’ambiente: questo è un principio fondamentale per accedere ai finanziamenti del Fondo di ripresa e resilienza. Inoltre, i piani devono altresì includere azioni che contribuiscono per il 37% delle risorse alla transizione ecologica. Ma il Pnrr non si “limita” a incasellare il concetto di sostenibilità nel novero delle politiche ambientali. Come affermato sempre da Mario Draghi, tale piano rappresenta “un’occasione unica per rendere l’industria e l’economia più innovative e più sostenibili. Rappresentano un’opportunità straordinaria per ridurre le disuguaglianze di genere, di reddito, di generazione”.
Tutto ciò potrà avvenire solo orientando la “cultura” delle istituzioni pubbliche verso un approccio olistico allo sviluppo sostenibile. Ciò implica avere la capacità di misurare e (cosa che spesso manca nell’approccio italiano alle politiche pubbliche) soprattutto valutare gli impatti del proprio operato in base a un ampio spettro di dimensioni di analisi. È sicuramente in corso un’evoluzione, favorita dal contesto pandemico, delle culture e degli indirizzi di public policy management nel novero della Pa italiana. In particolare, la realizzazione di ambiziosi obiettivi di sostenibilità ambientale, economica e sociale, abilitata anche da una trasformazione digitale della pubblica amministrazione, rappresenta un’occasione unica per modernizzare la Pa italiana, a tutti i livelli. Tale approccio consentirebbe alla Pa italiana di assumere un ruolo di maggiore responsabilità rispetto all’impatto delle proprie attività sull’ecosistema a cui appartengono e sugli interessi dei numerosi stakeholder con cui interagiscono: i cittadini, altre istituzioni pubbliche, e le imprese private.
*Partner Government & Public Sector di Ey Italia e Member of the Board of Director