“L’acqua come la porto? Naturale o frizzante?”.È la prima domanda che viene posta ai clienti dei ristoranti subito dopo essersi seduti a tavola. Si dà per scontato che una bottiglia debba essere servita e poi messa in conto, si arriva facilmente a tre euro nelle grandi città. Non si prende più nemmeno in considerazione di offrire quella di rubinetto. In Spagna invece hanno pensato che si tratta di una mezza follia e all’interno della Legge sui rifiuti e sui suoli contaminati per un’economia circolare, che entrerà in vigore nella sua interezza il primo gennaio del 2023, impongono alle strutture ricettive di dare come alternativa l’acqua a chilometro zero, ovvero di rubinetto. L’obiettivo generale della legge è di ridurre gli sprechi e i rifiuti nel 2025 del 13% rispetto a quelli generati nel 2010 e del 15% nel 2030.
“La norma dell’acqua di rubinetto è fra quelle già in vigore ma i ristoratori fanno fatica a proporla”, spiega Giuseppe Grezzi, assessore italiano alla mobilità del Comune di Valencia, da più di venti anni in Spagna e membro della coalizione valenziana rossoverde Compromís. “Ma sta iniziando a funzionare, perché sempre più persone la chiedono”.
In Italia la qualità delle acque destinate al consumo è assicurata mediamente per l’80,5% da acque sotterranee, naturalmente protette” spiegano dal ministero della Salute, “su cui si innesta un esteso sistema di controlli da parte dei gestori dei servizi idrici e delle Autorità Sanitarie Locali”. A settembre anche al Festival dell’Acqua, organizzato a Torino da Utilitalia, la Federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche, è stato sottolineato quanto le nostre acque siano eccellenti.
Eppure il 52% degli italiani consuma regolarmente quella in bottiglia e il 28% occasionalmente. Sul podio dei consumatori mondiali di acqua in bottiglia l’Italia è al secondo posto, dopo il Messico e prima in Europa. Ogni italiano beve 208 litri di acqua in bottiglia in un anno, per una spesa di 240 euro pro-capite che evidentemente danneggia l’ambiente oltre alle tasche. Altre stime meno “catastrofiste”, come quelle dell’Istat, parlano di 220 litri e circa 150 euro a testa l’anno. Le bottiglie comprate sarebbero fra i 7,2 e gli 8,4 miliardi che poi diventano rifiuti da trattare annualmente.
A leggere questi numeri si fa fatica a capire il senso della situazione nella quale ci troviamo. “Alla fine si tratta di acqua di rubinetto distribuita in bottiglia“, ha spiegato Peter H. Gleick, autore nel 2010 del saggio Bottled and Sold: The Story Behind Our Obsession with Bottled Water, che potremmo tradurre con Imbottigliata e venduta: la storia dietro la nostra ossessione per l’acqua in bottiglia. La sua testimonianza la trovate su Netflix nella puntata Acque Tormentate della docuserie Rotten.
È dagli anni Dieci del secolo scorso che l’acqua da bere in Europa e negli Stati Uniti ha iniziato ad essere trattata in modo da eliminare ogni minaccia per la salute. E all’epoca quella in bottiglia, che prima era una delle poche alternative a quella spesso malsana disponibile pubblicamente, divenne un mercato di nicchia. Fu la francese Perrier che cambiò le cose. Una delle sue prime pubblicità televisive per farsi largo nel mercato statunitense, era il 1979, aveva per protagonista Orson Welles. La Perrier però è praticamente una bibita più che una semplice acqua minerale. Passò così dal vendere negli Usa tre milioni di bottiglie nel 1976 a 200 milioni tre anni dopo. Comprò poi una serie di imprese che imbottigliavano acqua di fonte in giro per l’America, finché non fu comprata a sua volta dalla Nestlé. “L’esplosione di questo mercato iniziò a mettere sotto pressione le risorse idriche”, aggiunge Gleick. E visto che le fonti non sono abbastanza, in seguito si incluse in questa definizione anche quella sotterranea, la stessa del rubinetto in pratica.
In un libro famoso, Essere digitali, Nicholas Negroponte, fondatore del Media Lab del Mit di Boston, sosteneva che al contrario delle merci fisiche i dati possono viaggiare liberi senza barriere, confini, dazi. A quasi trent’anni di distanza, accedere a certi siti e servizi basilari sul Web è difficile se non impossibile in certi Paesi. Però si può entrare in un supermercato e acquistare una bottiglia di acqua delle Fiji che ha viaggiato per 16mila chilometri.
Nel complesso quella dell’acqua minerale è un affare da 280miliardi di euro, dei quali 2,8 circa arrivano dall’Italia. Lo sostiene Legambiente in un rapporto del 2018 nel quale si sottolineava come la scarsa sostenibilità di un mercato simile basato su una risorsa che “costa troppo poco, vale tanto e se ne spreca troppa”, specie in anni di crescente siccità.
Mentre in Spagna stanno cercando di voltare pagina, in altri Paesi l’acqua di rubinetto è servita più o meno regolarmente, come in Portogallo e Gran Bretagna, mentre in altri si sta cercando una soluzione intermedia. Dal 2023 il governo del Lussemburgo fornirà brocche ai ristoranti per alleggerire il passaggio dal monopolio della bottiglia di minerale. L’acqua del rubinetto dovrà essere aggiunta nei menù ma non necessariamente dovrà essere del tutto gratuita. “L’obiettivo non è mai stato quello di rendere gratuita la brocca d’acqua nei ristoranti e nei bar, ma di lasciare la scelta ai clienti e ai ristoratori”, ha spiegato Lex Delles, ministro del Turismo e delle piccole e medie imprese, aggiungendo che “il prezzo a cui i ristoratori possono offrire le caraffe d’acqua può essere fissato liberamente”. In Belgio se ne discute, con la parte fiamminga contraria all’obbligo e quella vallona che guarda a cosa ha fatto la Francia.
Oltralpe infatti dal primo gennaio del 2022 bar, caffetterie e ristoranti sono legalmente obbligati a offrire acqua di rubinetto gratuita ai clienti. “Gli esercizi di ristorazione sono tenuti a indicare in modo visibile sul proprio menù o su uno spazio espositivo la possibilità per i consumatori di richiedere acqua potabile gratuita”, recita la legge. Da noi invece non c’è nulla di simile e nemmeno se ne parla. Come dicevamo all’inizio l’unica costante è la prima domanda che viene rivolta al cliente al ristorante: “L’acqua come la porto, naturale o frizzante?”