Si chiama “Green port”, in linea con le direttive dell’Unione Europea. Ma è molto più di un progetto, quello che sta coinvolgendo il porto di Genova, chiamato a una riconversione totale sul fronte energetico, da grande consumatore a grande produttore. Perché se è vero che lo scalo resta un’industria energivora, è altrettanto vero che la capacità di produrre energia green diventa uno dei punti qualificanti della sua crescita futura.

 

In campo ci sono al momento due ministeri a sostenere lo sforzo dello scalo, quello della Transizione Ecologica e quello delle Infrastrutture e Mobilità Sostenibili. Il dicastero guidato da Roberto Cingolani ha già dato il via libera alla “svolta solare” di Genova, con l’installazione di 215mila metri quadrati di pannelli fotovoltaici su ogni tetto disponibile. L’authority ha appena completato la mappa, suddividendo il porto in sei cluster (Pra’, Multedo, Sampierdarena Levante, Sampierdarena Ponente, Ramo industriale Levante, Ramo Industriale Ponente).

Il ministero ha già finanziato 77.920 dei 215mila metri quadri per i cluster di Sampierdarena Levante e Ramo Industriale Levante, mentre l’area rimanente (137.416 metri quadri) potrà essere finanziati in successivi bandi. Proprio il solare, quindi, rappresenta la fonte rinnovabile su cui farà maggiore leva il porto per il suo progetto green. La potenza installata supererà i 10 Megawatt e questo potrà soddisfare una buona parte (anche se non tutto) delle richieste degli operatori dello scalo.

 

In parallelo è già partito anche il progetto del cold ironing. L’elettrificazione delle banchine è scattata a Prà e ai bacini di carenaggio e si sta trasferendo alle aree passeggeri (traghetti e crociere) dei porti di Genova e di Savona, che fanno capo all’autorità di sistema del Mar Ligure Occidentale. L’obiettivo è quello di tenere spenti i motori delle navi all’ormeggio (fermando quindi l’emissione in aria di sostanze nocive), alimentando le stesse con l’energia elettrica da terra per far fronte alle loro esigenze.

Un passaggio fondamentale, già ricordato dal presidente dell’authority Paolo Signorini, riguarda l’approvvigionamento. Se infatti l’energia è di derivazione fossile, questo può generare ugualmente problemi. Ecco perché anche l’alimentazione del cold ironing deve arrivare dalle fonti rinnovabili immesse nella rete. Da questo punto di vista, l’azione messa in campo dal ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili può spingere in questa direzione, rendendo anche più agevole l’installazione di impianti per la fornitura di energia alle navi ferme in banchina.

 

Per agevolare la realizzazione di queste infrastrutture, il Consiglio dei ministri, nel decreto legge sull’attuazione del Pnrr, ha varato l’autorizzazione unica, che dovrà essere rilasciata dalla Regione, in un termine massimo di 120 giorni (180 se è necessaria la valutazione d’impatto ambientale). Gli investimenti previsti per l’elettrificazione delle banchine, 700 milioni, sono finanziati dal Piano Nazionale Complementare (Pnc).

Analogo ragionamento per i carburanti delle navi. Oggi il 90% del naviglio mondiale si muove con il tradizionale e inquinante bunker le cui emissioni vengono contenute dagli scrubber posizionate sui fumaioli delle navi, ma non del tutto eliminate. Servono nuovi carburanti, insomma. La transizione, da questo punto di vista, prevede il progressivo passaggio all’lng, il, gas naturale liquefatto, che non può comunque rappresentare la soluzione finale. Da qui l’esigenza di spingere sempre più su soluzioni al momento in fase di studio (e di iniziale impiego) come ammoniaca e idrogeno.

 

Il piano verde del porto, infine, si trasferirà anche a terra. L’obiettivo, infatti, è quello di impiegare tutti i mezzi di movimento, auto, camion, gru, con una alimentazione elettrica, sostituendo quelli tradizionali.