Per il nostro limitato orizzonte di umani, che percepiscono la montagna come un ambiente statico, i fenomeni come le valanghe sono soltanto un disastro: mettono in pericolo le nostre attività e mutano un paesaggio conosciuto. Studi specifici sulle regioni montane, in questo caso una ricerca dell’università di Torino, confermano invece che si tratta di ecosistemi dinamici, nei quali anche fenomeni apparentemente disastrosi possono avere esiti positivi per le aree interessate, come l’aumento di specie di uccelli a rischio di estinzione. Sarebbe un’ottima notizia, se non fosse che il cambiamento climatico sta intensificando o cambiando questi fenomeni e i ricercatori cercano di capire quali sono le conseguenze.
Il gruppo di ricerca guidato da Riccardo Alba, dottorando del Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi UniTo, ha infatti esaminato 240 siti nelle Alpi occidentali italiane (120 tracciati di valanga e 120 siti vicini usati come controllo) durante il periodo di riproduzione degli uccelli nella primavera del 2021. In questo arco di tempo, nei siti interessati dalle valanghe è stata riscontrata una percentuale significativamente più elevata di specie di uccelli rispetto ai siti di controllo vicini.
Nei tracciati delle valanghe presi in esame, oltre a una maggiore presenza di uccelli, è stata riscontrata anche una maggiore diversità della vegetazione rispetto ai siti di controllo, in particolare quelli a quote più basse. I siti interessati dalle valanghe avevano infatti una maggiore copertura di rocce e arbusti e i piccoli alberi erano più numerosi, mentre i siti di controllo erano foreste ad alta copertura. Lungo i tracciati delle valanghe si trovavano uccelli che nidificano in habitat aperti e specie migratrici, come lo stiaccino o il prispolone, che sono tra le categorie di uccelli più minacciate. Nei siti di controllo è stata osservata una percentuale maggiore di specie che nidificano in habitat forestali, come la cincia alpestre, il tordo bottaccio e il picchio rosso maggiore.
Quel che è stato osservato, però, potrebbe mutare rapidamente perché la frequenza delle valanghe potrebbe essere influenzata dai cambiamenti climatici. Al momento non è chiato se con l’aumento delle temperature e il minore innevamento complessivo le valanghe diminuiranno, ma gli autori della ricerca osservano che il cambio climatico potrà avere implicazioni per la biodiversità montana, sia per gli habitat che per le specie di uccelli che vi fanno affidamento.
“Le valanghe sono una delle principali fonti di disturbo naturale nelle aree montane e creano mosaici di habitat con un’elevata eterogeneità della vegetazione, che può essere sfruttata da una serie di specie animali. – spiega Riccardo Alba – Poiché i regimi di precipitazione nevosa nelle regioni montane saranno alterati dai cambiamenti climatici, è fondamentale studiare le interazioni tra valanghe e biodiversità. È importante notare che l’avifauna dei tracciati di valanga si differenziava da quella delle foreste e degli ambienti di transizione degli ecosistemi delle linee montuose, dimostrando che queste aree eterogenee sono uniche e ospitano una miscela di specie di uccelli provenienti da habitat diversi. La frequenza delle valanghe dovrebbe essere una priorità per la ricerca ecologica alpina”.