A 2.275 metri d’altezza, nel cuore delle Dolomiti, la vecchia stazione della funivia di Plan de Corones è nel pieno della sua seconda vita. Con un unico obiettivo: magnificare la Montagna. A 360 gradi. Dal 2017, quell’edificio abbandonato da quasi 30 anni è diventato la casa di Lumen, il museo della fotografia di montagna, e di un rifugio dalla vista spettacolare e la cucina stellata dello chef altoatesino Norbert Niederkofler.
Tutto in questo edificio parla della montagna, la celebra, la rispetta. A partire dai 1800 metri quadrati di spazio espositivo del Lumen. Qui è custodito il Tap, l’archivio fotografico del Tirolo (sia quello austriaco che quello italiano) e in tre piani è racchiusa la storia delle vette più maestose del mondo. Dai primi scatti di fine ‘800 – dei fratelli Louis-Auguste e Auguste-Rosalie Bisson e di Vittoria Sella, immortalati con attrezzature da 250 chilogrammi – fino alla fotografia digitale.
Poi le mostre, permanenti e temporanee, dedicate alla sacralità delle montagne in giro per il mondo o al loro sfruttamento. E gli angoli interattivi, dove immergersi in una stanza di specchi, scoprire i versanti meno conosciuti delle vette più famose e, immancabile, vedere come i cambiamenti climatici stiano mettendo a repentaglio il futuro di un ecosistema al tempo stesso possente e delicato. Che parla con voce bassa e profonda lì dove un otturatore chiude il vecchio ingresso della stazione a monte per poi aprirsi su un panorama mozzafiato.
In un contesto del genere anche il rifugio non poteva che essere un omaggio alla montagna. “Rispettiamo il suo tempo”, racconta lo chef Niederkofler, 3 stelle Michelin al St. Hubertus di San Cassiano e promotore di una cucina sostenibile quando ancora la sostenibilità non era diventata una moda. AlpInn è una stube sospesa dalle pareti di vetro firmata dal designer Martino Gamper. Dalle vetrate l’occhio abbraccia la Valle Aurina, la vetta d’Italia, la val Gardena. A sinistra le Alpi, a destra le Dolomiti, e poco più in là l’Austria. In primo piano la linea del museo Messner, dedicato all’alpinismo e ultima opera dell’architetta anglo-irachena Zaha Hadid. “Si vede anche Lutago, il paese dove sono nato”, sorride lo chef.
Gli arredi sono artigianali e locali, a chilometro zero. Il soffitto è composto da 450 pannelli unici in loden, prodotto da una delle aziende più antiche di Brunico e dipinto a freddo con pennellate verticali fatte a mano, secondo un’antica tecnica giapponese per non inquinare l’acqua. Tra i pannelli si snodano 220 metri di binari dove scorrono i lampadari, fatti in vescica di maiale, un materiale che altrimenti sarebbe stato buttato. Il pavimento è in larice, a incastro, le pareti della cucina e del bancone in serpentino, nero o verde a seconda del modo in cui è tagliato.
Sedie e tavoli sono pezzi unici in legno naturale, per evitare l’uso di tovaglie, e si incastrano tra loro rendendo il locale estremamente flessibile. Per le necessità degli ospiti o per godere meglio della luce o della vista. Anche le due colonne della sala svaniscono per un effetto ottico per lasciare libero il campo visivo. “Dalla vetrata – spiega Niederkofler – si vede da dove arriva il legno, dov’è il falegname, da dove arriva la verdura o il formaggio”.
Perché anche il cibo è, c’era da aspettarselo, a chilometro zero, come vuole la filosofia Cook the mountain, di cui Niederkofler è ideatore insieme a Paolo Ferretti. “Non usiamo olio di oliva o agrumi. Avete mai visto un ulivo o un arancio in queste zone?”, chiede lo chef. Banditi i prodotti che arrivano dalle serre o da lontano. Dall’estero ha solo preso in prestito le tecniche, di conservazione o di cottura, da applicare a quello che la natura offre intorno al suo rifugio. Come l’acqua. Ad AlpInn infatti è una bottle free zone: non ci sono bottiglie d’acqua, né di plastica né in vetro: si beve l’acqua della sorgente, grazie alla tecnologia della Bwt, un’azienda che dal 1823 ha fatto dell’acqua la sua missione. “Una scelta – spiega Niederkofler – che ci permette di evitare il trasporto di 36mila bottiglie da e per la valle ogni anno. E di finanziare nuovi pozzi d’acqua in Africa”.
Certo la strada verso una sostenibilità al 100% è ancora lunga, ma il percorso è a buon punto: “Fino al 2008 esisteva come prima cosa Norbert lo chef. Decidevo le ricette e poi pensavo a dove e come procurarmi le materie prime. Non ero consapevole di quanto fosse complesso il tutto. Oggi la natura è al primo posto, poi vengono i produttori, solo per ultimo arriva la cucina. Ho invertito il percorso. Ci sono rimasti solo 40 raccolti. A me può anche non fregare nulla, ma ai miei figli cosa lascio? Il tempo sta scadendo. Dobbiamo invece riappropriarcene e rispettarlo. Nei cicli della natura come nella vita. Solo così possiamo cambiare le cose. Non solo in montagna”.