I conti non sempre tornano e a volte può essere utile rifarli. I conti in questo caso sono quelli sull’aumento delle temperature che stiamo osservando negli ultimi anni. La comunità scientifica è concorde nel ritenere che stiamo assistendo a una pericolosa impennata delle temperature, ed è necessario conoscere appieno le ragioni dietro questi innalzamenti. E scovando si scopre che esistono fattori non sempre considerati a dovere nel conto totale. È questo lo spirito che ha guidato il lavoro dei ricercatori dell’Alfred Wegener Institute e dell’European Centre for Medium-Range Weather Forecasts, in Germania, secondo i quali le temperature eccezionali dello scorso anno sono state dovute in parte – precisamente per un 0.2°C – a cambiamenti nella capacità del nostro pianeta di riflettere la radiazione solare. La Terra sarebbe stata meno abile a riflettere la luce del sole, e dunque più calda, anche per questo.
Al centro del lavoro di Helge Goessling e colleghi si trova infatti proprio questo scarto di 0.2°C, definito dal ricercatore, esperto di analisi climatiche al computer, come una delle questioni più discusse in chi si occupa di questi temi. Il punto è questo: 0.2°C è la differenza tra l’aumento delle temperature osservato e quello atteso. Nel dettaglio, raccontano i ricercatori dalle pagine di Science, considerati gli effetti di fattori quali le emissioni di gas serra, di El Niño, e la lunga coda delle emissioni di vapore acqueo del vulcano Tonga—Hunga Ha’apai, si arriva a spiegare un massimo dell’aumento di circa 1,3°C dei 1,5°C invece osservati lo scorso anno.
Rianalizzando i dati i ricercatori sono convinti di riuscire a spiegare la discrepanza osservata: la quota mancante è dovuta a una spiccata riduzione dell’albedo della Terra. Il dato emerge dalle misure e dai modelli effettuati a partire dai satelliti del progetto Clouds and the Earth’s Radiant Energy System (CERES), che si occupa proprio di indagare le relazioni tra radiazione e nuvole (che come il ghiaccio riflettono parte della luce del sole, soprattutto per le nubi più basse, ricordano gli esperti).
La riduzione dell’albedo planetario è un trend, avviato da tempo ma che lo scorso anno ha raggiunto un minimo, spiegano gli esperti in una nota dell’dell’Alfred Wegener Institute. Aver risposto a questa prima domanda, però, non ha fatto altro che stimolare la curiosità degli scienziati nel cercare di risalire all’origine del fenomeno osservato. Secondo i loro modelli e le loro ricostruzioni, la riduzione dell’albedo avrebbe una causa chiara: la diminuzione delle nubi basse, specialmente alle medie latitudini nell’emisfero settentrionale e ai tropici. Di una quota pari proprio allo scarto dello 0,2°, scrivono: “L’aumento dell’assorbimento di radiazioni a onde corte da dicembre 2020 dovuto alla riduzione dell’albedo può spiegare lo scarto di 0,22°C dell’anomalia di temperatura del 2023, incluso la quota di 0,03°C dalle regioni polari dove la riduzione dell’albedo è dominata dal ritiro del ghiaccio marino e della neve”.
La conseguenza diretta della perdita di queste nubi basse – forse per una diminuzione degli aerosol di origine antropica che fungono da nuclei di condensazione o forse per effetto dei cambiamenti climatici – farebbe perdere al nostro pianeta uno scudo riflettivo per la radiazione solare, e così la capacità di raffreddamento, ha spiegato Goessling. Considerata la posta in gioco, vale la pena impegnarsi a comprendere meglio tutto questo, facendo e rifacendo i conti, concludono gli autori.