Ha ascoltato sua nonna, ha visto con i suoi occhi il dramma dei rifugiati climatici a Calais e ha deciso di alzare la voce. Contro l’inazione climatica, contro il governo del Regno Unito che ha portato in tribunale per aver utilizzato i soldi dei contribuenti nel finanziare compagnie petrolifere e del gas, contro le ingiustizie sociali e razziali.

A 25 anni Mikaela Loach, origini giamaicane e oggi studentessa di medicina all’Università di Edimburgo, si sta affermando insieme a Greta Thunberg, Sophia Kianni e Vanessa Nakate, come nuova paladina della battaglia contro il collasso climatico.

 

Longform

I nuovi ambientalisti

di Benedetta Barone, Luca Cirese, Giacomo Talignani

Da poche settimane è uscito il suo libro It’s Not That Radical: Climate Action to Transform Our World, un testo dedicato sia agli attivisti del clima che vogliono diventare più impegnati ed efficaci nelle proteste per chiedere politiche in grado di arginare il riscaldamento globale, sia per raccontare come disuguaglianze climatiche, razzismo e disparità sociali siano strettamente connesse.

 

Loach, che ci tiene a non essere definita la nuova Greta, racconta come a spronarla nella sua avventura letteraria sia stata anche la nonna: vive ancora a Hellshire Beach, vicino a Kingston (Giamaica), e quando parla al telefono con la nipote le spiega come la realtà che Mikaela conosceva da bambina sia ormai scomparsa a causa della crisi del clima. Le temperature elevate, l’innalzamento dei livelli del mare, i fenomeni meteo sempre più intensi stanno cambiando i luoghi in cui è cresciuta mostrando tutta la fragilità del Pianeta.

 

Per questo Loach ha scelto di mettere nero su bianco le ingiustizie che ha osservato da vicino: da quelle dei rifiugiati climatici, scappati da territori secchi e ormai invivibili, migranti che ha aiutato di persona proprio a Calais, sino alle ingiustizie che ha incontrato da vicino subite da coloro che hanno la sola colpa di non essere “ricche e bianche”.

Come a spiegato al Guardian, oggi Loach condivide le sue riflessioni in un podcast chiamato Yikes! e sui social e nel suo libro partendo dalle proprie origini racconta la necessità, ora che vive in Gran Bretagna, di impegnarsi nella battaglia climatica “anche se non siamo stati noi a causare questa crisi e non è colpa nostra. Penso che sia una nostra responsabilità perché qui viviamo nel cuore dell’impero e nel cuore dell’imperialismo. Abbiamo un’enorme vicinanza al potere che i nostri fratelli nel continente africano o in Giamaica e in tutti i Caraibi non hanno” spiega facendo riferimento alle sue radici.

Sostiene che lo squilibrio attuale di potere tra il nord e il sud globale è nato dall’imperialismo e dalla “supremazia bianca”, fattori che hanno “permesso in primo luogo l’emergere della crisi climatica” e che oggi dovrebbero essere smantellati “se si vuole raggiungere la giustizia climatica“. Mikaela Loach, attivista di Extinction Rebellion, intende così prendere parte a una rivoluzione dal basso, ispirata a persone impegnate che provano a cambiare le cose nella vita di tutti i giorni.

Un retaggio familiare, spiega l’attivista intervistata dal Guardian: “Mi hanno insegnato cosa vuol dire rivoluzione e che la libertà non è qualcosa che viene dall’alto, ma un valore per il quale combattere dal basso. E questo ha avuto un grande impatto su di me”. Così, dopo essere diventata vegana a 16 anni, aver preso parte a battaglie contro il fast fashion che impatta sull’ambiente, aver protestato contro i miliardari sul palco della Fondazione Gates e aver assistito i rifugiati nei campi di confine, racconta che oggi la chiave per combattere è chiedersi sempre “se possiamo sfidare noi stessi a spingere un po’ di più per le nostre convinzioni”.

Per esempio quando si è accampata fuori dall’Abbazia di Westminster per protestare contro un giacimento petrolifero: sapeva di rischiare l’arresto e di compromettere la sua carriera in Medicina, ma ha comunque scelto di incatenarsi insieme ad altri attivisti di Extinction Rebellion.

“Dovremmo chiederci come possiamo mettere alla prova noi stessi a spingerci oltre, come possiamo raggiungere la nostra comunità e provare a portarla con noi nella stessa battaglia” spiega ricordando, per il clima e non solo, l’importanza di una “azione collettiva”. Nel suo libro, Loach chiama giovani e non solo a prendere parte a questa azione, convinta che giustizia climatica significhi giustizia sociale.

“Sempre di più vedevo la crisi climatica raccontata solo come rovina e tristezza, sul fatto che siamo tutti fregati – dice Mikaela Loach confidandosi al portale Atmos Earth -. Ecco perché nel mio testo ho voluto usare una narrazione che ponesse l’accento sul fatto che possiamo creare un mondo migliore. Troppo spesso ci viene detto che il meglio che possiamo sperare è una versione peggiore di questo mondo, ma non è vero: la giustizia climatica ci offre la liberazione per tutti i popoli”.