Un’intera isola da trasformare in arca di Noè. In tempi di crisi climatica, incendi e perdita costante di biodiversità, l’Australia terra ricca di straordinarie specie si trova a fare i conti con il continuo declino di molti animali, spesso a causa di un problema collegato alle azioni passate dell’uomo: l’introduzione di specie invasive. Solo i gatti e le volpi, introdotti con la colonizzazione, per dare un’idea uccidono ogni giorno tra rettili, uccelli e piccoli mammiferi qualcosa come 7 milioni di animali. In particolare a soffrire sono per esempio i marsupiali, come alcune specie di wallaby, simbolo del Paese, che non riescono a reggere all’impatto dei predatori. Per questo il governo australiano, in collaborazione con le autorità dell’Australia meridionale, hanno deciso di fare un gigantesco tentativo: trasformare un’intera isola remota in un santuario per le specie autoctone in via di estinzione. Un luogo dove – in pieno stile Noè – salvare animali che rischiano di scomparire dando loro una chance, in totale sicurezza, per riprodursi e prosperare.

Il luogo destinato a questo esperimento è Flinders Island, tra l’Australia del sud e la Tasmania, un’isola di 4000 ettari circondata dall’area protetta dell’Investigator Group Marine Park. Ha quasi 50 chilometri di costa e il 75% della sua vegetazione è autoctona: potrebbe essere, secondo gli esperti, il rifugio ideale per la ripresa di moltissimi animali. Ma anche Flinders Island, di proprietà della famiglia Woolford, ha un problema comune al resto dei territori australiani: è invasa da gatti selvatici, ratti, topi, parassiti e specie aliene invasive che, per poter procedere con l’idea di trasformarla un santuario per le gli animali autoctoni, dovranno essere eliminati. Per l’eradicazione il governo ha un piano, chiamato “Flinders Island Safe Haven” e insieme agli altri attori coinvolti nell’iniziativa sono stati messi a disposizione 4,8 milioni di dollari australiani.

Lo scopo è liberare l’isola dagli “invasori” e renderla un rifugio sicuro soprattutto per i mammiferi minacciati, vulnerabili o in via di estinzione, tra cui per esempio il wallaby lepre fasciato (Lagostrophus fasciatus), anche noto come canguro striato. In passato la famiglia Woolford viveva a Flinders Island grazie soprattutto all’allevamento di pecore ma quando i costi di trasporto sono cresciuti e il valore della lana è diminuito, circa 25 anni fa hanno gradualmente abbandonato la loro impresa, ripensando al futuro dell’isola più in chiave turistica e con progetti di conservazione.

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Ora la stessa famiglia vorrebbe riportare l’isola allo stato naturale, simile a quando nel 1802 l’esploratore Matthew Flinders la cartografò e la descrisse narrando terre dove vagavano ovunque i wallaby. Oltre ai wallaby, secondo i biologi, sull’isola potrebbero prosperare bene anche i bandicoot, piccoli marsupiali terricoli. Il progetto, nato già alcuni anni fa, è ora possibile grazie a un nuovo stanziamento di fondi che vede unire le forze tra governo, autorità federali e comunità locali. Per il ministro federale dell’Ambiente, Tanya Plibersek, si tratta di “un esempio fantastico di come governi e comunità collaborino per proteggere al meglio alcuni dei nostri animali più vulnerabili”. A maggio, fuori dalla stagione riproduttiva degli uccelli marini e costieri, inizierà la prima fase di cattura degli invasori, concentrata su topi e ratti. Poi si passerà all’eradicazione di circa 200 gatti selvatici. Entro fine anno l’obiettivo è quello di ripulire il territorio da tutte le specie aliene invasive e i parassiti che potrebbero compromettere la riuscita del progetto. Per il ministro per il clima e l’ambiente del South Australia, Susan Close, l’iniziativa Flinders Island Safe Haven “è fondamentale perché ci sono pochi posti in Australia che ci offrono un’opportunità così unica per proteggere la nostra importante fauna selvatica nativa”. Non solo, l’esperimento vuole anche dimostrare la possibilità di recuperare un territorio estremamente modificato dalle dinamiche della colonizzazione e delle attività antropiche.

Un tempo infatti Flinders Island prosperava per esempio di marsupiali, ma quandi a inizio 1800 iniziarono ad operare i cacciatori di foche, seguiti poi negli anni da contadini ed allevatori, a causa dell’introduzione di gatti e altri animali molte specie sono scomparse. Nel Sud Australia si stima che da quando gli europei si sono insediati siano estinte almeno 73 specie. Per costruire questa arca di Noè in terra, governi e comunità useranno anche diversi strumenti tecnologici: per la caccia ai roditori verranno impiegati elicotteri leggeri e altra strumentazione, mentre per la localizzazione dei gatti saranno utilizzati dei droni dotati di sensori e visione termica, il tutto con la collaborazione di esperti anche da Nuova Zelanda e Tasmania. Infine, dato non da poco, c’ è anche la speranza che attraverso questa iniziativa si possa aiutare la ripresa di molte piante e di vegetali autoctoni.

“Speriamo – dicono i Woolford – di vedere la ripresa di molte specie di piante i cui semi sono stati mangiati dai ratti. In generale dovremmo assistere a una vera ripresa delle specie autoctone, come invertebrati e insetti, specie di rettili e uccelli costieri. Il nostro sogno è che l’isola possa tornare come nel febbraio del 1802, quando Matthew Flinders e il suo equipaggio sbarcarono per la prima volta sull’isola di Flinders e nel diario di bordo della nave la descrissero come una terra dove saltellavano dappertutto dei canguri in miniatura”.