La natura è meravigliosa anche perché dimostra come il nostro sistema economico non abbia niente a che vedere con l’economia dell’ambiente. E il paesaggista spesso si trova a metà strada tra due mondi che parlano linguaggi diversi. Può decidere di piantare alberi, ma questa azione ha un costo molto alto, e poi c’è la manutenzione, che è altrettanto onerosa. Oppure può decidere di assecondare la natura, perché gli offre sempre la possibilità di fare da sola. Innamorato del mondo vegetale, Antonio Perazzi, scrittore, botanico e paesaggista milanese d’origine toscana, teorizza il giardino selvatico, dove le piante sono libere di crescere e riprodursi. Le considera organismi affascinanti e generosi, molto più capaci di adattarsi rispetto agli umani. Noi ragioniamo sempre da individui, mentre le piante ragionano come società e pensano alle generazioni successive.
Un albero, quando è stressato, produce un’enorme quantità di semi, perché sa che i figli hanno maggiori possibilità di adattarsi, di spostarsi quel poco che gli basta per crescere.
Ma come si forma un paesaggista? Perazzi, oltre allo studio, ha viaggiato molto, fin da giovanissimo, dall’Alaska al Giappone, dalla Cina all’Himalaya, scoprendo sul campo una varietà straordinaria di ambienti e paesaggi. E poi ha fatto del parco di famiglia, sulle colline del Chianti, il suo laboratorio: “Il mio giardino a Piuca è stato una grandissima fonte di ispirazione e lo è ancora”.
In uno dei suoi libri – Il paradiso è un giardino selvatico – descrive dettagliatamente ogni istante dell’arrivo nel suo Eden, in una notte di primavera. È È una vera e propria immersione in un mondo altro, dove il silenzio è sovrano. Descrive la purezza della notte stellata, la completa mancanza di luce artificiale, il mantra dei grilli, l’aria saporita, umida e fresca. E poi gli animali selvatici: il ghiro, il capriolo, l’airone, le carpe, le lucciole dove l’erba è alta e i fossi umidi, il cardellino, la lucertola. La professione, però, non è tutta poesia e richiede formazione continua. “Il paesaggista deve coniugare il punto di vista dell’agronomo, che vuole produrre il massimo da ogni terreno; quello dell’architetto, che mira a costruire per dare funzioni; quello del forestale, che ragiona di cicli su scala ecologica”.

E poi c’è il vento della sensibilità culturale. Molto interessante, a detta di Perazzi, l’attuale passaggio storico: “Fino a ieri c’era ogni buona intenzione di rispettare l’ambiente, di cercare di diminuire l’impatto, di consumare meno terreno, di piantare più alberi. Oggi è scattato qualcosa di opposto: torniamo a trivellare, a estrarre, ci armiamo e chiudiamo i confini. Tutto sta avvenendo con una rapidità straordinaria, da una settimana all’altra”.

Passare dalla filosofia, alla politica, alla terra con i suoi organismi viventi fa parte del gioco. Perazzi sta realizzando un giardino attorno alla Torre di Manfria, in Sicilia, su un promontorio che domina il golfo e la piana di Gela, circondata da roccia, pietra di gesso e dalla sabbia, regno della ginestra bianca e delle dune. “Con tutta probabilità non pianterò nulla. Ci saranno solo gradini, sentieri, piccole viminate per proteggere dal vento, contro l’erosione”.
Il paesaggista milanese è convinto che un giardino non abbia bisogno di grandi budget per funzionare, ma solo di un investimento in tempo, di attenzione. “È bello lasciare che le piante crescano, dando un senso al luogo, senza badare alla forma o alla funzione”.
Lo spazio pubblico è una delle sfide della professione. «Se riuscissi anche nei parchi pubblici a incentivare la natura – dice – potrei garantire agli insetti, alle piante e agli animali, di trovare oasi felici e anche alle persone di avere un maggiore entusiasmo nel riconoscere uno spazio che da solo ce la fa”. Come ha fatto a Firenze, nei grandi spazi di Manifattura Tabacchi, fabbrica dismessa e recuperata alla città, a due passi dal centro storico. Un luogo rivitalizzato in primis dalle piante spontanee che hanno iniziato a dialogare con le architetture. Anche qui il progetto paesaggistico lascia spazio alla forza provocatrice e rigeneratrice della vegetazione. Come diceva don Lorenzo Milani, “basta prendersi cura di una cosa per mettere in pratica un’idea”.
E la cura è più che mai necessaria per il paesaggio: occorre averne molta, come si fa con un organismo vivente. Per Antonio Perazzi “non può essere solo un esercizio di stile, ma deve diventare quotidianità, eleganza, nella consapevolezza di dover custodire una ricchezza culturale e biologica sterminata”.