Sulle Alpi il colore dominante presto potrebbe non essere più il bianco della neve ma, in ogni stagione, il verde della vegetazione. E se da un lato più piante potrebbero contribuire a ridurre la CO2, meno neve e ghiacciai in rapida contrazione causeranno enormi problemi per le riserve idriche. Si intitola proprio “Dal bianco al verde: perdita di copertura e aumento della produttività della vegetazione nelle Alpi europee” uno studio appena pubblicato su Science, nel quale i ricercatori del dipartimento di ecologia ed evoluzione dell’Università di Losanna, in Svizzera, danno conto di una riduzione del 10% della copertura nevosa sulle aree esaminate, a fronte di un aumento di oltre due terzi della vegetazione: utilizzando dati di telerilevamento, le aree con vegetazione al di sopra della linea degli alberi nelle Alpi sono aumentate del 77% dal 1984.
“Le montagne stanno vivendo un riscaldamento più drammatico rispetto alle quote più basse, con un aumento dello scioglimento delle nevi e un cambiamento dei modelli di innevamento – scrivono gli autori della ricerca – è stato già accertato come gli ultimi quattro decenni di cambiamenti climatici abbiano influenzato la copertura nevosa e la produttività della vegetazione nelle Alpi europee.” Questi mutamenti avranno importanti impatti ecologici e climatici, poiché i due fenomeni porteranno probabilmente a cambiamenti ancora più marcati in futuro.
Climatologi, glaciologi e dendrocronologi da tempo cercano di elaborare scenari che tenendo conto della riduzione del manto nevoso e dell’aumento di vegetazione possano prevedere in che modo i due fenomeni potranno interagire. Se, come detto, in genere l’aumento delle piante aiuta la riduzione della CO2, la diminuzione di superfici bianche, in grado di riflettere luce e calore, porta a un incremento del riscaldamento globale, come hanno mostrato numerosi studi che si sono concentrati sulle zone artiche.
Reportage
Ghiacciaio dei Forni, dove la fusione non si ferma
di Emanuele Bompan. Foto Alessandro Speccher
Di recente, inoltre, è stato anche messo in discussione il rapporto direttamente proporzionale secondo cui più piante assorbirebbero sempre più anidride carbonica. Uno studio del gennaio 2021 dell’università di Nanjing, in Cina, aveva sottolineato che l’effetto di aspirazione di CO2 dall’atmosfera da parte delle piante sta diminuendo molto velocemente, più di quanto non avessero previsto i modelli teorici. E ancora, meno di 15 giorni fa, un’altra ricerca dell’Università dello Utah ha sottolineato che le capacità di crescita degli alberi non dipendono unicamente dalla quantità di carbonio disponibile per la fotosintesi, e quindi la capacità di assorbimento delle foreste nei prossimi decenni potrebbe essere inferiore a quanto sperato fino a oggi.
Insomma, ritenere che l’incremento della parte verde possa compensare, almeno dal punto di vista dell’aumento delle temperature, la diminuzione di ghiacciai e copertura nevosa è a dir poco azzardato, non soltanto perché a incidere sugli scenari climatici ci sono poi molti altri elementi, quali l’attività solare e la fluttuazione dei grandi sistemi climatici periodici come El Niño.
Per ora, i ricercatori svizzeri sottolineano che “l’inverdimento ha predominato nelle aree più calde, guidato dai cambiamenti climatici durante l’estate, mentre la recessione della copertura nevosa ha raggiunto il picco alle temperature più fredde, guidata dai cambiamenti delle precipitazioni. L’inverdimento potrebbe aumentare il sequestro di carbonio, ma è improbabile che questo superi le implicazioni negative, tra cui la riduzione dell’albedo e della disponibilità di acqua, lo scongelamento del permafrost e la perdita di habitat”. In sintesi, come ormai sottolineano la maggior parte degli studi sulle strategie per la mitigazione del riscaldamento climatico, l’azione più urgente resta sempre la riduzione delle emissioni che derivano dalle attività antropiche, perché la nostra influenza sulla natura è ormai tale da rendere secondarie le sue capacità di adattamento.