Per chi arriva dall’Europa il fatto di attraversare vasti territori forestali che rischiano ancora di cadere sotto la lama delle compagnie di legname sembra qualcosa di inusuale. In Italia, come in Francia o in Germania, tutto appartiene a qualcuno: parte al demanio, molto ai privati. Ogni Paese e ogni regione hanno le loro consuetudini e le loro leggi. Le riserve nazionali, le riserve locali, le bandite, i boschi condivisi, quei pochi che restano. In effetti finché non attraversi le vastità del nord America difficilmente ti rendi conto di quanta terra ancora rischi di essere semplicemente sfruttata e rasa al suolo. E questo può accadere anche negli Stati Uniti che hanno fondato l’idea moderna di parco e riserva, come dimostra il recente abbattimento di un’intera vallata di sequoie in Oregon, fatto da cui iniziarono le reazioni, anche violente, di un gruppo di ambientalisti sotto la sigla Earth Liberation Front, documentato dal regista Daniel McGowan in If as Tree Falls (201, premio al Sundance e candidato all’Oscar). D’altronde su Youtube potete visionare, se ne avete il fegato, dettagliati video di abbattimento di alberi plurisecolari, come se fosse la cosa più normale e naturale del mondo.

Con occhi di selva

Salviamo la sequoia “Carlo Marx”

di Tiziano Fratus

Le due organizzazioni che in California hanno protetto le sequoie sono state Sierra Club, cofondata dal mitico John Muir, e  Save the Redwoods League. Per quanto concerne le sequoie di montagna, le Sequoiadendron giganteum – i grandi piedi color cinnamomo, le più vaste creature viventi del Pianeta, dopo certi funghi che si estendono sottoterra come contee – la tutela nacque nel corso della seconda metà del XIX secolo, in tempi davvero ostili per gli alberi e le foreste, tanto che si è stimata una perdita di circa l’85-90% delle foreste mature di questa specie, e quel poco che resta sono i grandi alberi che noi possiamo andare a visitare in Giant Forest, a Calaveras, a Mariposa of the Big Trees e in altri luoghi.

Invece, le sequoie costali o Sequoia sempervirens, crescono da migliaia di anni lungo la costa dello stato proseguendo a nord in Oregon, sono alberi più “sottili” ma più alti, veleggiano anche oltre i 110 metri di altezza, il legno è più duro e resistente; le loro foreste sono state quasi del tutto lasciate a se stesse fino agli inizi del XX secolo, tranne isolati casi di protezionismo come è avvenuto, ad esempio, nella contea di Humboldt, dove oggi si conservano alcune delle più nutrite e intatte foreste di conifera. Save the Redwoods League viene fondata nel 1918, dopo un anno di ricerche finanziate dal National Park Service (NPS), la struttura creata per gestire le riserve nazionali, per comprendere in che stato si trovassero le foreste sopravvissute ai tagli massici dell’industria del legname. Primo responsabile ne fu Newton Bishop Drury, futuro quarto direttore del NPS. Ci si rese subito conto della situazione drammatica e del rischio che ancora correvano molte foreste con alberi enormi e millenari.

In un secolo di attività, contestualmente alla crescita di una sensibilità ecologica, la Save the Redwoods League ha acquisito territori, istituendo riserve che a noi non resta che venerare come Rockfeller Forest, Humboldt Redwoods, Prairie Creek, Jedediah Smith Redwoods, Purisima Creek, Juliah Pfeifer Burns a Big Sur, Del Norte Coast Redwoods e molte altre. Oggi la League protegge oltre duecentomila acri di foresta primaria, coltiva foreste di nuova generazione, conduce programmi di educazione nelle scuole, pubblica libri, insomma assolve ad una funzione di conservazione ma al tempo stesso culturale.

Mancava però ancora un pezzo per iniziare, quantomeno per iniziare a sanare alcune delle dolenti ferite che l’evoluzione rapida delle comunità umane aveva arrecato in quelle lande che noi chiamiamo Stati Uniti d’America: la restituzione di alcuni luoghi ai nativi americani.

La League ha deciso di restituire un lotto di terreni, nella Lost Coast, al Concilio Intertribale della Sinkyone Wilderness, una confederazione di dieci tribù. Questa gente aveva vissuto pacificamente nelle foreste per secoli, almeno ottomila anni, prima dell’arrivo rampante dell’uomo bianco, tra la seconda metà del XVIII e la prima metà del secolo successivo, per conquistare terre, fondare nuove città, uccidere animali selvatici e sfruttare tutte le possibilità minerarie e naturali.

Non si tratta di una cessione vasta, sono 523 acri, ovvero 211 ettari, ma si tratta di una cessione simbolica che arriva dopo l’istituzione da parte dell’attuale presidente, il non poi così tanto amato Joe Biden, che ha raddoppiato le celebrazioni dell’11 ottobre, il Columbus Day, istituendo anche l’Indigenous Peoples’ Day. Metà di questa terra ospita una foresta antica.

Come riporta The New York Times, Sam Hodder, amministratore delegato di Save the Redwoods League, ha detto: “Crediamo che il modo più efficace per assicurare una protezione permanente e curare questa terra sia attraverso un’amministrazione tribale. Abbiamo l’opportunità di ristabilire equilibrio tra l’ecosistema e le comunità connesse ad esso.”

Biodiversità

Solo i popoli indigeni tengono alle foreste

di Pietro Mecarozzi

Non è il primo caso, ad esempio nel 2017, a Saint Francis in South Dakota, la Compagnia di Gesù chiuse una propria missione, 525 ettari, e restituiva la terre ai Sioux; i gesuiti vi si erano stabiliti nel 1880, su concessione del governo americano, senza alcuna preoccupazione per chi già ci viveva. Nel 2019 il sindaco della città di Eureka, nella Baia di Humboldt, ha restituito ai nativi, la tribù dei Wiyot, Indian Island, tra l’altro luogo di un’efferata strage avvenuta nel 1860.

Talvolta sono addirittura le tribù che ricomprano le terre, come è avvenuto recentemente in Oregon ad opera dei Klamath, settecento ettari di laghi, montagne e praterie, una piccola porzione del continente sottratto un secolo e mezzo prima con spargimento di sangue.

Pochi sanno che esiste un Bureau of Indian Affairs, istituito nel 1824, che gestisce 326 riserve indiane su un territorio di 225.000 km². Si occupa di gestire tutte le controversie di varia natura tra le tribù indiane e il resto della popolazione americana, di rafforzare i confini delle riserve, di educare, di ottenere sempre maggior credito. Ora anche le foreste ricominciano a tornare ai primi custodi.

E mi chiedo quali sentimenti, quali sensazioni proveranno i giovani di queste comunità che ritornano a calpestare da custodi le terre dove avevano vissuto i loro avi, e dove i propri padri, i propri nonni, invece non potevano tornare, se non come turisti per un giorno. Sarà, io credo, tutta una nuova vita, una fonte di orgoglio, una rinascita della propria identità. E poi su, a far crescere i nasi verso le cime di queste splendide sequoie che radicano da secoli e millenni e ci attendono per alleggerire i nostri cuori.