Il cambiamento climatico non è più solo una questione ambientale ma una vera e propria emergenza economica. Le aziende che non affronteranno rapidamente i rischi legati al clima potrebbero vedere erosi fino al 25% dei loro profitti nel giro di un quarto di secolo, cioè entro il 2050, mentre a livello globale il Pil potrebbe ridursi del 22% entro la fine del secolo. L’inazione potrebbe costarci la più epocale delle contrazioni economiche a cui abbiamo mai assistito. Sono solo alcuni degli allarmanti numeri che emergono da un recente studio del World Economic Forum in collaborazione con Boston Consulting Group (BCG) emblematicamente intitolato “The Cost of Inaction: A CEO Guide to Navigating Climate Risk”.

Un pericolo sottovalutato dalle imprese

Nonostante la crescente consapevolezza dei rischi climatici, d’altronde impossibili da ignorare nonostante il negazionismo imperante di molte amministrazioni, troppe aziende faticano a trasformare questa consapevolezza in strategie concrete. “Il vero problema è considerare il cambiamento climatico come una minaccia lontana, quando invece il suo impatto economico è già evidente e destinato a peggiorare senza azioni mirate” spiega Lorenzo Fantini, managing director e partner di BCG. Secondo Fantini, l’adattamento climatico non è un costo ma un investimento fondamentale per la stabilità del business: rimandare significa affrontare conseguenze economiche ben più gravi in futuro. In cambio, forse, di qualche magra marginalità per un risicatissimo oggi.

Imprese a rischio: tra danni fisici e transizione ecologica

Il rapporto identifica due principali categorie di rischio per le imprese. Da un lato ci sono i rischi fisici, legati cioè a fenomeni meteorologici estremi come uragani, incendi e lunghissime fasi di siccità, che possono compromettere la praticabilità delle infrastrutture, interrompere le catene di approvvigionamento sempre più complesse e delicate – già messe a rischio dalle turbolenze commerciali internazionali, vedi alla voce dazi – e rallentare se non bloccare del tutto la produzione. Dall’altro lato ci sono i rischi di transizione, legati all’inasprimento delle normative ambientali – almeno, nella UE – alle varie forme di carbon tax e alla svalutazione degli asset legati ai combustibili fossili, fattori che prima o poi morderanno più di quanto facciano al momento. Si prevede, ad esempio, che la domanda globale di carbone calerà del 90% entro il 2050, rendendo letteralmente insostenibili gli impianti costruiti dopo il 2010. Non solo: nei prossimi due decenni – spiega BCG – le imprese più esposte vedranno i costi operativi lievitare e il valore di asset fossili calare fino a -35% già entro il 2030, con conseguenze in molti settori.

L’impatto economico già evidente

Non si tratta di scenari futuri ma di un problema già molto concreto. Dal 2000 a oggi i disastri naturali legati al clima hanno per esempio causato perdite economiche pari a 3.600 miliardi di dollari, di cui mille miliardi solo tra il negli ultimi quattro anni, quando si è registrato un secco aumento di questi eventi intensissimi. In particolare, tempeste e uragani hanno rappresentato oltre la metà di questi danni. Negli Stati Uniti e in Europa molte compagnie assicurative stanno già ritirandosi da aree considerate troppo rischiose, lasciando intere regioni senza copertura assicurativa. E dunque senza alcuna garanzia per progetti di medio e lungo termine.

Investire nella transizione: una scelta economicamente vantaggiosa

Di fronte a questi rischi, il report evidenzia come la transizione ecologica – che tante aziende tendono perfino a sottostimare nei propri bilanci, quando la perdita reale potrebbe oscillare tra il 5% e il 25% dell’Ebitda.

Nel giro dei prossimi due o tre decenni – non sia solo una necessità ambientale ma anche un’imperdibile opportunità economica. Come in ogni fase segnata da un salto storico di paradigma – e dalle fisiologiche resistenze di rendita. Ogni dollaro investito in resilienza climatica genera un ritorno compreso tra 2 e 19 dollari, evitando per altro perdite future. A livello globale, per mantenere il riscaldamento sotto i 2 gradi centigradi sarebbe necessario destinare circa il 2% del Pil alla mitigazione e un ulteriore 1% all’adattamento. Tuttavia, questi investimenti sarebbero ampiamente ripagati, prevenendo perdite tra il 10% e il 15% del Pil mondiale entro la fine del secolo. Non c’è partita.

L’economia verde: un settore in rapida crescita

Le aziende che sapranno cogliere questa opportunità di transizione climatica potranno beneficiare di un mercato in espansione. L’economia verde passerà dagli attuali 5mila miliardi di dollari a 14mila praticamente domattina, cioè entro il 2030. I settori trainanti saranno l’energia alternativa (49% del mercato), i trasporti sostenibili (16%) e i prodotti di consumo eco-friendly (13%), con un salto annuo tra il 10% e il 20%, nettamente superiore al tasso di crescita globale.