È probabile che la maggior parte delle persone a conoscenza del termine “earthship” si siano imbattute in questa parola guardando il film premio Oscar “Nomadland”, dove il personaggio di Linda May sogna di costruirne una. La verità però è che queste “case solari passive“, simili a quelle di Tatooine nella saga di Star Wars, esistono almeno dagli anni Settanta e stanno avendo un grande revival nei nostri tempi, segnati dall’emergenza climatica e dalle paure per la sopravvivenza del genere umano provocate dall’epidemia di Covid.

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Al punto che il Washington Post ha dedicato loro un lungo reportage realizzato a Taos, nel New Mexico, che fino a qualche tempo fa era famoso soprattutto come il villaggio di Kit Carson, e invece adesso sta diventando l’esempio di un futuro sostenibile a cui potremmo tutti ispirarci.

Le “earthship”, per chi non ne avesse mai vista una, sono case costruite con materiali quasi esclusivamente riciclati e in larga parte autosufficienti. Nel senso che si riscaldano e raffreddano attraverso i pannelli solari; prendono l’acqua dalla pioggia e la usano per il ciclo di tutti i bisogni umani, ossia bere, lavarsi, annaffiare le piante e fertilizzarle, e poi rimetterla nell’ambiente senza danneggiarlo; e producono tra il 25 e il 50% del cibo consumato dai loro abitanti, se ti accontenti di una dieta basata sui vegetali.

Uno dei pionieri di questo sistema è Mike Reynolds, che dopo la laurea in Architettura alla University of Cincinnati all’inizio degli anni Settanta, era scappato nel deserto intorno a Taos nella speranza di sfuggire alla leva militare per il Vietnam. Non era più andato via, iniziando a costruire le “earthship”.

L’architetto Michael Reynolds, il “padre” delle eartship (Getty Images) 

“La gente parlava di un freak, un mezzo matto fricchettone, che sulla mesa del New Mexico tirava su edifici fatti con l’immondizia. Era una cosa scandalosa – ha raccontato lui Reynolds al Washington Post – però adesso tutti vogliono comportarsi come i primati”.

Le fondamenta delle “earthship” sono fatte in genere di vecchi pneumatici riempiti di terra, mentre i muri non portanti sono fondi di bottiglia e lattine usate, tenute insieme con materiali naturali tipo l’argilla.

La costruzone di una scuola elemantare sostenibile di tipo earthship a Jaureguiberry in Uruguay. Getty 

Un po’ come le case di “adobe”, i mattoncini tipici di questa zona, prima dell’arrivo dei fricchettoni. Il resto è fatto di legno, vetrate, e pannelli solari per il riscaldamento. Ogni casa ha un sistema per raccogliere e filtrare la poca acqua che scende dal cielo, in modo da poterla usare tanto per le esigenze basilari degli esseri umani, come bere e lavarsi, quanto per annaffiare le piante degli orti intorno alle abitazioni, da cui gli inquilini ricavano poi il cibo. La soluzione ideale per i problemi del nostro futuro, se i cambiamenti climatici vi fanno paura, e la pandemia di Covid vi ha fatto venire voglia di vivere isolati, senza correre il pericolo di morire di fame a causa degli imbuti della supply chain.

Il fenomeno è così diffuso, che ormai esiste anche una Earthship Academy, che per la moderata cifra di mille dollari insegna ai suoi studenti a costruirsi la propria casa. Per quelle già esistenti i prezzi vanno grosso modo fra 300.000 e 400.000 dollari, ma sembrano destinati ad aumentare, non tanto per l’inflazione transitoria degli ultimi mesi, quanto piuttosto per la crescente volontà di lungo termine di cambiare vita.

Reynolds purtroppo ha confessato al Wp di essere stato colpito da una forma grave di cancro alla prostata, ma proprio per questo ha deciso di accelerare la costruzione delle sue earthship il più possibile, allo scopo di lasciare il segno fino a quando ne avrà la forza. Il fenomeno però è ormai così di moda, che sembra destinato non solo a sopravvivergli, ma a diventare un elemento stabile nei sogni di chi intende cambiare il nostro approccio alla vita sul pianeta Terra.