Contro al crisi climatica non possiamo contare sulle foreste o immaginare di piantare alberi ovunque. Per quanto indispensabili alla nostra sopravvivenza su questo pianeta, le foreste non possono essere la “soluzione” al problema delle crescenti emissioni di CO2 e del riscaldamento globale che ne consegue. Secondo uno studio guidato da Caspar Roebroek e Alessandro Cescatti del Joint Research Centre di Ispra (Italia) e pubblicato su Science, infatti, le foreste da sole possono fare ben poco: quelle esistenti potrebbero fare da cuscinetto contro le attuali emissioni solo per i prossimi quattro anni, anche se smettessimo ipoteticamente di sfruttarle a partire da oggi. Preservarle rimane ovviamente essenziale, ma per ridurre la CO2 atmosferica e contrastare la crisi climatica è necessario – e va ribadito, anche se può sembrare ovvio – innanzitutto ridurre drasticamente e globalmente le emissioni, e farlo subito.
Come sappiamo, le piante assorbono la CO2 dall’ambiente e la trasformano, attraverso il processo di fotosintesi clorofilliana (che necessita anche di acqua ed energia solare), in ossigeno e glucosio: quest’ultimo costituisce la loro fonte di nutrimento. In questo modo, gli alberi e in generale le foreste fungono da veri e propri “magazzini di CO2“, o, per meglio dire, di carbonio. Ma quanto ne possono ancora accumulare? Secondo gli autori della ricerca, i risultati di studi pubblicati in precedenza tendono a fornirci valori sovrastimati, non prendendo in considerazione alcuni fattori. Per rispondere alla domanda, il gruppo di ricerca ha messo dunque a punto un modello che sia in grado di calcolare la realistica “capacità di carico del carbonio” in condizioni di equilibrio naturale. Ovvero, prendendo in considerazione quei fattori che causano la naturale perdita di alberi e piante ed escludendo invece i fattori antropici.
Sei semplici azioni quotidiane per ridurre la deforestazione
Secondo i loro risultati, la capacità delle foreste attualmente esistenti di immagazzinare CO2 aumenterebbe del 15% se eliminassimo qualsiasi attività umana a loro collegata, dall’ottenimento di legna, allo spegnimento degli incendi di origine naturale.
Diversi studi ci dicono che, in una prospettiva globale, le foreste lasciate completamente intatte e libere da qualsiasi attività antropica (anche da quelle che potrebbero apparentemente avere impatti positivi) riescono ad assorbire una quantità nettamente maggiore di CO2. Ad ogni modo, come dicevamo, anche in condizioni di naturale equilibrio le foreste presenti sul nostro pianeta potrebbero al massimo compensare gli attuali tassi di emissione per i prossimi quattro anni.
Viene quindi naturale chiedersi se aumentarne l’estensione potrebbe essere un’opzione da prendere in considerazione. La questione purtroppo non è così semplice, come riferisce uno dei rapporti dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change). Quella che in inglese viene chiamata “afforestation”, ovvero l’incremento delle aree forestali a scapito di praterie o pascoli nativi, non è infatti priva di conseguenze. In primo luogo, anche il suolo libero da foreste ha un impatto sull’assorbimento di CO2. Inoltre, sostituire i pascoli naturali con le foreste, specialmente se in zone semi-aride e specialmente con alberi a crescita rapida, può variare il locale equilibrio delle falde acquifere causando potenzialmente crisi idriche locali. Da ultimo, ma non per importanza, sostituire pascoli naturali con foreste può ovviamente avere impatti negativi sulla biodiversità e anche sulla disponibilità di suolo per scopo agricolo.
Se ad assorbire la CO2 è un “albero liquido”
Non possiamo quindi pensare che invertire la tendenza alla deforestazione, per quanto necessario, possa costituire un’alternativa alla riduzione delle emissioni. I programmi per la mitigazione del clima, concludono gli autori, dovrebbero al massimo considerare la capacità di stoccaggio del carbonio da parte delle foreste esistenti come una possibilità per compensare quelle emissioni che realisticamente non potranno essere del tutto azzerate in futuro.