Gli esperti parlano di narco-deforestazione o narco-degradazione, neologismi piuttosto eloquenti per illustrare la questione: il collegamento tra il narcotraffico e il rischio di deforestazione, e così il rischio ambientale, soprattutto per perdita di biodiversità. Se ne parla in questi giorni sulle pagine di Nature Sustainability, in un articolo che ha l’intenzione di stimolare una riflessione. Il punto, scrivono chiaramente gli esperti, è che si vuole combattere il problema del narcotraffico, senza fare ulteriori danni, serve considerarne appieno gli impatti. E anche quelli ambientali sono una voce del problema.
La riflessione, nel dettaglio, si è concentrata sulle minacce della deforestazione imputabili al narcotraffico per gli uccelli, soprattutto quelli che popolano l’America centrale. Le minacce all’ambiente, e in particolare alle foreste, prodotte dal traffico di droghe sono dovute a diversi fattori. Da un lato, scrivono gli autori, il narcotraffico stimola la creazione di strade illegali, ma anche l’accaparramento di terre per sfruttamento di risorse o allevamenti, allo scopo di proteggere i terreni o riciclare denaro sporco. A tutto questo contribuiscono loro malgrado anche le attività di contrasto al narcotraffico, perché rimodellano le zone libere da controlli e divieti, aprendo nuove strade a nuovi possibili sfruttamenti e danni ambientali, si legge nel paper. Il lavoro dei ricercatori guidati da Amanda Rodewald, esperta di ornitologia alla Cornell University, si è concentrato proprio su questi aspetti, cercando di stimare la minaccia che sia il narcotraffico che le misure di contrasto avessero sugli uccelli.
Gli scienziati hanno infatti stimato l’abbondanza di diversi uccelli – migratori e non, per un totale di circa 200 specie -, mappato le aree cruciali per la loro sopravvivenza, e fatto una stima del livello di “idoneità al narcotraffico” delle diverse aree del Centroamerica. Ovvero, hanno provato a calcolare quali aree, in seguito alle misure di contrasto (come sequestri, dislocamento di pattuglie, controlli a terra, sulle navi), rischiassero di diventare nuovo terreno fertile per le attività di narcotraffico.
In questo modo hanno osservato che per circa il 70% delle aree cruciali per le specie locali e il 60% per quelle migratorie il rischio di “idoneità al narcotraffico” aumentava. Tra le aree più a rischio, scrivono, si trovano per esempio alcune che mappano all’interno delle “Five Great Forests” della Mesoamerica, terre popolate da indigeni locali, ricordano gli autori. E, aggiungono: oltre la metà delle specie migratorie analizzate (in totale 67) ha più di un quarto della popolazione che si troverebbe all’interno di queste zone a rischio, ma per alcune specie a rischiare è più di metà della popolazione.
Si tratta di stime, avvisaglie, rischi, nulla di certo ammettono gli stessi autori. Ma il messaggio, ribadiscono, è chiaro: la lotta al narcotraffico consideri anche l’ambiente, passando da misure sociali che proteggano le popolazioni locali, riducano la povertà, diano loro diritti e mezzi per proteggere le loro terre, per esempio. “Servono misure che rafforzino la capacità delle comunità locali e dei governi di monitorare e proteggere le loro foreste, coltivare forme alternative di reddito e risolvere questioni poco chiare sul possesso dei terreni”, dichiara in proposito Rodewald, dalla Cornell University. In questo modo, concludono gli scienziati, sarà forse possibile proteggere anche l’ambiente e le specie che lo abitano.