L’espansione delle piantagioni di palme da olio sta causando, nel corso degli anni, la perdita di milioni di ettari di foreste. Diversi studi scientifici, fra cui uno recentemente pubblicato su Nature, hanno documentato l’evidente impatto negativo di questo fenomeno sulla biodiversità e, di conseguenza, sulle delicate e complesse reti alimentari che caratterizzano le aree colpite. Ma l’impatto di una crescente domanda di prodotti che contengono olio di palma non si ferma qui: secondo i risultati di uno studio pubblicato su Science of the Total Environment, l’espansione di questo tipo di piantagione può avere effetti negativi anche sulla qualità dell’acqua dei bacini idrici che si trovano in prossimità delle piantagioni stesse.
Gli autori della ricerca hanno preso in esame in particolare il bacino idrico del fiume Kais della Papua occidentale, in Indonesia. La Papua occidentale, spiegano i ricercatori nello studio, ospita la terza foresta tropicale più grande del mondo e circa un quarto dell’area che costituisce il bacino del fiume Kais è stata nel tempo convertita in piantagioni di palme da olio. Quest’area è anche una delle più anticamente abitate da diversi gruppi di indigeni papuani, che, sottolineano gli autori, rischiano di essere particolarmente esposti alle conseguenze di una ridotta qualità dell’acqua del bacino.
Studi pubblicati in precedenza avevano già messo in luce alcuni dei possibili impatti idrologici delle coltivazioni di palme da olio in Papua occidentale, fra cui l’erosione del suolo, con conseguente aumento dei sedimenti nelle falde acquifere, l’aumentato rischio di catastrofi naturali, come alluvioni e periodi di siccità, e l’inquinamento dei bacini idrici a causa dell’utilizzo di pesticidi e fertilizzanti. Per valutare e quantificare meglio questi effetti, i ricercatori hanno utilizzato uno strumento informatico noto come SWAT+ (Soil and Water Assessment Tool), che consente di analizzare, attraverso la creazione di modelli computazionali, gli impatti e il modo in cui l’idrologia di una certa area geografica risponde a diversi scenari di utilizzo del suolo.
A partire dai dati climatici e da quelli relativi alla copertura del suolo, all’altitudine e alla distribuzione dei corsi d’acqua, gli autori dello studio hanno quindi utilizzato SWAT+ per mettere a punto i modelli corrispondenti a tre diversi scenari: quello “storico”, per così dire, basato sui dati precedenti al 2014, anno in cui hanno iniziato a diffondersi le piantagioni di palme da olio; quello attuale, caratterizzato da ampie coltivazioni; e, infine, un possibile scenario futuro, per il quale è stata ipotizzata una costante espansione delle piantagioni. Quest’ultimo modello include anche i dati relativi alle proiezioni climatiche per i prossimi 10 anni.
Dalle analisi è emerso che la conversione della foresta pluviale in coltivazioni di palme da olio ha causato un aumento delle precipitazioni e dell’umidità del suolo nell’area presa in considerazione. Inoltre, la qualità dell’acqua del bacino risulta essere drasticamente peggiorata rispetto al periodo che precede la diffusione delle piantagioni. In particolare, la presenza di sedimenti è aumentata del 16,9% e le concentrazioni di azoto e fosforo risultano essere aumentate rispettivamente del 78,1 e del 144%. Azoto e fosforo sono due dei principali componenti dei fertilizzanti di sintesi e una loro eccessiva concentrazione può provocare danni sia all‘ambiente che alla salute umana.
“Le popolazioni indigene a valle, che dipendono dai fiumi e dai corsi d’acqua del bacino idrografico, sono molto vulnerabili”, spiega Timothy Randhir, docente di conservazione ambientale presso l’Università del Massachussetts di Amherst (Stati Uniti) e autore dello studio: “Stanno subendo tutte le conseguenze ambientali e di salute pubblica, mentre le compagnie internazionali che producono olio di palma stanno raccogliendo i frutti”. Per questo motivo, concludono gli autori, è necessario che le autorità impongano dei limiti per l’utilizzo di fertilizzanti e pesticidi, specialmente nei periodi caratterizzati da alluvioni e inondazioni, che si impegnino a monitorare costantemente la qualità dell’acqua a valle delle piantagioni e, soprattutto, a garantire che le comunità interessate abbiano accesso a informazioni aggiornate sulla qualità dell’acqua che utilizzano quotidianamente.