Imitare il ronzio dei calabroni per tenere alla larga potenziali predatori, soprattutto rapaci notturni, a cominciare dai gufi: così un pipistrello, il vespertilio maggiore (Myotis myotis), mostra una strategia quasi inedita in natura, l’imitazione acustica di un altro animale, pericoloso, con il chiaro intento di salvare la pelle. La singolare scoperta, pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica Current Biology, è opera di un team internazionale composto da ricercatori italiani e costaricani. Il pipistrello ‘intelligente’ è originario di gran parte dell’Europa meridionale, Italia inclusa: un boccone prelibato per i gufi. Non se a loro appare come un imenottero, a quanto pare.
“Iniziò tutto una ventina d’anni fa” – spiega Danilo Russo, tra gli autori della ricerca, professore di ecologia all’università Federico II di Napoli. “Nell’ambito del mio dottorato di ricerca mi accorsi che alcuni dei pipistrelli che catturavamo con le reti, per motivi di studio, emettevano un forte ronzio, del tutto simile a quello di vespe e calabroni. Mi si accese una lampadina: poteva forse essere una strategia naturale per dissuadere un predatore?”. Domanda legittima, ancor più se si considera che i gufi sono animali notturni dall’udito particolarmente sviluppato e si affidano soprattutto a questo per individuare le prede.
E dunque, insieme con il primo autore, Leonardo Ancillotto, dello stesso Ateneo, e alcuni ricercatori delle università di Torino e Firenze e una collega della Costa Rica, Russo ha registrato le frequenze il ronzio di pipistrelli, vespe, api, bombi e calabroni, certificandone – con un’analisi statistica – la particolare somiglianza, diventata ancor più pronunciata se esaminata in relazione alla gamma uditiva dei gufi. “Ci è così stato subito chiaro – racconta – che alle orecchie di un barbagianni o di un allocco, che sono gli animali che più attaccano i pipistrelli, distinguere un calabrone da un pipistrello in base al ronzio sarebbe davvero difficile”. Andava però dimostrata l’efficacia della strategia di mimetismo. E per farlo il gruppo di ricerca ha effettuato una serie di esperimenti in cattività, protagonisti sedici gufi in cattività (otto barbagianni e altrettanto allocchi): i ronzii spingevano tutti i rapaci, indistintamente, ad allontanarsi dall’altoparlante perché avvertivano il suono come un pericolo, mentre – spiega Russo – “il segnale sociale di un’altra specie di pipistrello utilizzato come controllo addirittura li attirava, cioè tendevano ad avvicinarsi ed esplorare perché lo ritenevano fonte di cibo”. E del resto è noto, in natura, che i gufi evitino i calabroni, perché preoccupati dalle eventuali conseguenze di una loro puntura.
Quanto basta, insomma, per parlare di una delle più affascinanti tipologie di mimetismo in natura, quello batesiano, con il quale una specie di animale o di pianta commestibile (mimo) imita un’altra specie di animale o di pianta (modello) non commestibile o pericolosa scongiurando così l’assalto dai predatori. “Proprio così. – annuisce Russo – Accade quando un animale non armato, non difeso, imita la colorazione, la forma o – in questo caso – il suono emesso da un’altra specie, che invece è difesa”. Un esempio? L’innocuo serpente reale scarlatto (Lampropeltis elapsoides), diffuso in Nord America, ha assunto durante l’evoluzione un colore del tutto simile al pericoloso serpente corallo orientale (Micrurus fulvius): i predatori, così, confondono le due specie e stanno alla larga. E accade qualcosa di analogo con la farfalla Papilio dardanus, innocua, le cui femmine imitano varie specie di farfalle non commestibili dei generi Amaris e Danaus.
Mai, però, si era osservato in natura un mammifero che imita un insetto. “Ma l’esito della ricerca non ci sorprende, visto che ha perfettamente senso che i pipistrelli, con le loro straordinarie capacità vocali, ricorrano a mezzi acustici per ingannare i predatori”, sottolinea Mirjam Knörnschild, esperta di ecologia del comportamento animale al Museo di Storia Naturale di Berlino.
E dunque il vespertilio maggiore, che ha una lunghezza testa-corpo di 67-79 millimetri e arriva a pesare fino a una trentina di grammi, conferma lo straordinario percorso evolutivo dei chirotteri, contribuendo forse a riabilitarne l’immagine, in parte ingiustamente compromessa da una certa narrazione legata alle origini della pandemia da Covid-19 (stigmatizzata in un articolo sulla rivista Mammal Review dal titolo “Covid-19, media coverage of bats and related Web searches: a turning point for batconservation?”).
“La verità – sottolinea Danilo Russo – è che i pipistrelli sono dei veri e propri miracoli evolutivi. Pesano pochi grammi e vivono più di 40 anni, hanno ali che consentono loro di viaggiare per chilometri e percorrere anche migliaia di chilometri nel caso delle specie migratrici, esplorano il buio con un biosonar sofisticato che neanche la migliore tecnologia umana riesce a imitare. Inoltre consumano tantissimi insetti nocivi all’agricoltura, alla salute umana e alle foreste, e ai tropici impollinano piante di grande importanza ecologica ma anche economica o ne disperdono i semi. La nostra vita dipende sotto tanti aspetti dai pipistrelli, anche se non lo sappiamo perché sono tra le presenze più discrete e silenziose che abitano con noi il Pianeta. E come nel caso del vespertilio maggiore, custodiscono segreti intriganti che continuano ad appassionarci”.